All’isola di San Lazzaro degli Armeni. Prima parte

All’Isola di San Lazzaro degli Armeni
Prima parte

Sarebbe stato impossibile accorgersene lungo la Riva degli Schiavoni o alla fermata del vaporetto di San Zaccaria, ma quando invece sono già per mare noto che oggi il cielo è così pulito e l'aria così vitrea che da qui, in mezzo alla laguna veneziana, si riescono a vedere perfino le vette imbiancate delle Dolomiti. Sta per finire l'anno e quello nuovo porterà almeno un anniversario di quelli che non dovremmo dimenticare.
Il 24 aprile è la data in cui gli Armeni ricordano il genocidio del loro popolo e quando quest’anno arriverà quel giorno, un secolo esatto sarà passato da allora. Era quasi primavera quando nel 1915 iniziarono gli arresti, poi le deportazioni, le uccisioni, le decapitazioni e le carovane di donne e bambini mandati a morire di fame e di sete in mezzo al deserto. Fu ‘Il grande male - Metz Yeghern’, per usare il nome scelto dagli Armeni per quel primo sterminio di massa del XXº secolo.
Oggi la visita a San Lazzaro degli Armeni ci accompagna in realtà a un'epoca più lontana, ma il ricordo di quel tragico strappo storico di un secolo fa è inevitabile.

L’isolotto di San Lazzaro fu inizialmente abitato dai monaci benedettini e diventò nel XIIº secolo un lebbrosario, da qui il nome di San Lazzaro che è il protettore dei lebbrosi e degli ammalati. Per la sua distanza dalla città e dalle altre isole più grandi, continuò anche più tardi ad essere usato come luogo di quarantena e come rifugio per poveri e infermi.
A metà del ‘600 l’isola accolse per vent’anni i Domenicani scappati da Creta e in seguito i Gesuiti; gli Armeni invece vi arrivarono nel 1717, quando la Serenissima la donò al monaco armeno Mekhitar.

Mekhitar era nato nel 1676 a Sebaste, l’attuale Sivas in Turchia, ma nel 1700 si era trasferito a Costantinopoli dove con una decina di discepoli che lo avevano seguito aveva dato vita a una congregazione monastica dedita anche alla predicazione e alla pubblicazione di testi scritti.
Per la sua volontà di risolvere lo scisma armeno e di riconciliarsi con la chiesa cattolica di Roma, Mekhitar entrò sempre più in conflitto con i rappresentanti più ortodossi della chiesa Apostolica Armena e, mal tollerato anche dalla maggioranza musulmana che non vedeva di buon occhio i suoi legami con Roma, decise infine di raggiungere con i suoi discepoli Modone, in Morea.
Modone era situata sulla costa ionica di quello che oggi è il Peloponneso e a quei tempi si trovava sotto il secondo dominio veneziano; fu dunque lì che Mekhitar conobbe Angelo Emo, il governatore veneziano della regione, e l’ammiraglio Sebastiano Mocenigo. Poco tempo dopo, nel momento in cui i Turchi riconquistarono la zona, i veneziani tornarono in laguna e Mekhitar li seguì. Solo un paio d’anni più tardi, il monaco avviò il restauro dell’antico convento benedettino di cui poco era rimasto nell’isola che gli era appena stata ceduta e nel 1722, l'anno in cui i lavori terminarono, l’ammiraglio Mocenigo diventó Doge.
Quello che vediamo ancor oggi è quindi la sede madre dell’ordine monastico mekhitarista, che continua a ospitare circa una ventina di monaci, tutti di origine armena per parte di padre.
In realtà gli Armeni erano stati numerosi e attivi a Venezia già prima dell’arrivo di Mekhitar; noti soprattutto come commercianti e importatori di tappeti, albicocche, noci, melograni, mandorle e fichi, si erano installati soprattutto nella zona che si trova alle spalle di San Marco; qui la loro presenza lasciò tracce giunte fino a noi nei nomi della calle e del sottoportego ‘degli Armeni’ e nella vicina Chiesa di Santa Croce degli Armeni. Per la sua religiosità, per l’amore per la cultura e per la dedizione al commercio, la città di Venezia dovette sicuramente ricordare agli Armeni la loro antica capitale Ani, che era stata distrutta da un terremoto nel 1319.
Fu proprio a Venezia che nel 1512 venne stampato il primo libro in lingua armena; si trattava del Libro del Venerdì, una raccolta di preghiere, pensieri e invocazioni. Pare che dall’inizio del Cinquecento fino all’Ottocento fossero attive nella città lagunare ben una ventina di tipografie di proprietà armena.
Anche il monastero di San Lazzaro ebbe alla fine del Settecento la sua propria stamperia dove si potevano stampare libri in 36 lingue diverse. Nell’isola sono custoditi oggi circa 170.000 libri di cui 4.500 manoscritti, in una sala circolare che si raggiunge al termine della visita sono conservati quelli più preziosi e sono esposti dei vangeli in miniatura, delle copertine con belle incisioni e la bibbia usata dallo stesso Mekhitar.


Text & Foto: Nicoletta De Boni © Cap Gazette
Gennaio 2015