Verso il lunfardo prima parte

Verso il lunfardo: gli emigrati italiani e la parlata di Buenos Aires
Prima parte

Una barzelletta famosa in Spagna e America Latina racconta che se i messicani provengono dagli aztechi e i peruviani dagli inca, gli argentini, invece, vengono dalle navi (la battuta risale secondo alcuni a Jorge Luis Borges, secondo altri a Carlos Fuentes). L'influenza culturale della popolazione argentina di origine europea, soprattutto spagnola e italiana, ma anche francese, polacca, tedesca e inglese, è infatti facilmente osservabile. D'altronde, per quasi un secolo, dalla seconda metà del XIXº secolo ai primi decenni del XXº, moltissimi di europei emigrarono in Argentina e Uruguay, alcuni per non tornare più.
La grande emigrazione verso la zona del Rio de la Plata portò ovviamente con sé usi e costumi del paese e della regione d’origine. Basta scorrere l’elenco telefonico di Buenos Aires per rendersi conto della diversità di origine degli argentini: sono numerosi i cognomi di origine evidentemente europea e in particolare italiana. Un altro esempio che salta agli occhi è la varietà di piatti tipici italiani ormai radicati localmente, quali il pesto genovese o la bagna cauda piemontese. Non meno importante fu il contributo linguistico degli immigranti, che introdussero nella parlata argentina (soprattutto a Buenos Aires) termini provenienti da lingue o dialetti europei. Il cocoliche, ibrido italo-spagnolo e il lunfardo sono due esempi dell’influenza della lingua e dei dialetti italiani sul linguaggio della regione del Rio de la Plata.
I dati sull’emigrazione italiana in Argentina sono controversi, soprattutto perché è difficile tenere il conto di chi davvero si trasferì a Buenos Aires per restarvi; molti infatti vi si recarono per lavorare per un determinato periodo e poi fecero ritorno in patria. Ad ogni modo, si parla di milioni di persone che si imbarcarono a Genova e a Napoli per cercar fortuna in Argentina e Uruguay. All’inizio partirono principalmente dal nord (soprattutto Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto) e in seguito dal sud (Campania e Calabria).
Ma chi era a partire? E in che condizioni? Edmondo de Amicis nel 1884 viaggiò da Genova a Montevideo su un bastimento carico di emigranti e così, nel suo libro-diario di viaggio Sull’Oceano ci descrive l’Italia a bordo:

[...] la maggior parte degli emigranti, come sempre, provenivano dall'alta Italia...molti Valsusini, Friulani, agricoltori della bassa Lombardia e dell'alta Valtellina; dei contadini d'Alba e Alessandria che andavano all'Argentina non per altro che per la mietitura, ossia per mettere da parte trecento lire in tre mesi navigando 40 giorni. Molti della Val di Sesia...della Liguria il contingente solito, dato in massima parte dai circondari d'Albenga, di Savona e di Chiavari, diviso in brigatelle, spesate del viaggio di un agente che le accompagna, al quale si obbligano di pagare una certa somma in America, entro un tempo convenuto (le "agenzie"), in molti casi facevano vera e propria opera di sciacallaggio, promettendo sotto lauto compenso, denaro e lavoro sicuro per chi si affidava a loro; per poter evitare questi soventi casi di sfruttamento anche da parte di incettatori di mano d'opera e loro commissionari, venne emanata la Legge Crispi del 30 dicembre 1888 n° 5866, ma essa non valse ad eliminare gli inconvenienti per i quali era stata varata: infatti mantenne il carattere strettamente privatistico del contratto, limitandosi a sancire norme di polizia per controllare l'attività di agenti o subagenti. Con un'altra Legge del 31 gennaio 1901 n° 23, le norme che disciplinavano l'emigrazione vennero profondamente cambiate; furono abolite le agenzie per il trasporto degli emigranti e furono stabilite nuove modalità e condizioni per il trasporto stesso; vennero inoltre istituiti particolari organi pubblici per l'informazione necessaria sulle condizioni di vita e di lavoro nei paesi in cui l'emigrazione si rivolgeva [...].

Se ogni emigrazione è ovviamente viaggio fisico ed esistenziale, l’aspetto di “viaggio linguistico” segna profondamente l’esperienza dell’emigrante-immigrante, nonché quella degli abitanti del paese di accoglienza. Già sulla nave, l’incontro tra persone provenienti da diverse parti d’Italia e argentini, più o meno oriundi, di ritorno a casa, produce un immediato mutamento linguistico. Ecco ancora De Amicis che ci descrive la parlata degli emigranti italiani prima e degli argentini poi:

Ma bisognava sentire che vocabolario: era il primo saggio ch'io intendevo della strana lingua parlata dalla nostra gente del popolo dopo molti anni di soggiorno nell'Argentina, dove, col mescolarsi ai figli del paese, e a concittadini di varie parti d'Italia, quasi tutti perdono una parte del proprio dialetto e acquistano un po' d'italiano, per confonder poi italiano e dialetto con la lingua locale, mettendo desinenze vernacole a radicali spagnuole, e viceversa, traducendo letteralmente frasi proprie dei due linguaggi, le quali nella traduzione mutan significato o non ne serban più alcuno, e saltando quattro volte, nel corso di un periodo, da una lingua all'altra, come deliranti. Trasecolando gli udii dire si precisa molta plata per "ci vuol molto danaro", guastar capitali per "spender capitali", son salito con un carigo di trigo per "son partito con un carico di grano". E in quest'orribile gergo tirava via a dar addosso alla Camera dei Deputati, al governo atrasado (rimasto addietro), al popolo di mendìgos, e perfino ai monumenti d'arte, dicendo che, nel ripassare per Milano, aveva trovato il Duomo molto più piccolo di come l'aveva nella mente […]. E mi stupiva anche quella loro lingua spagnuola come snodata e alleggerita della scorza letteraria, accentuata in modo nuovo per me e fiorita di parole sconosciute e bizzarre, e cantata con quel lontano ricordo di melopea indiana, che mi faceva passar per la fantasia delle facce color di rame ornate di penne […].

Se furono quindi i bastimenti a popolare l’Argentina, portandovi usi e costumi europei e in particolare italiani, è facile immaginare come queste navi arrivassero cariche di lingue, dialetti, parlate o gerghi diversi. Non stupisce quindi che gli abitanti di Buenos Aires, Montevideo e altre città abbiano nel tempo creato un linguaggio locale infarcito di termini ed espressioni provenienti da paesi lontani.


Text&Foto: Nicoletta De Boni e Paolo Gravela ©CAP Gazette
Foto: Proposte di un'agenzia di viaggio nel marzo del 1924.
Luglio 2014