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Tornare o no. Cadice – Barcellona; Colombia – Valencia

Tornare o no

Finalmente imparò a leggere e a scrivere
Cadice - Barcellona

Mi ricordo del giorno in cui Dolores mi disse:
- Quando arrivai a Barcellona, dopo dieci minuti che ero sul tram, decisi che non sarei mai più ritornata.
Dolores era nata in un piccolo paese dell’Andalusia, nella provincia di Cadice, dove visse per qualche anno con la sua famiglia nel cortijo - la masseria - dei signori, lavorando nei campi fin dai dieci anni. I signori (in spagnolo, los señoritos) pagavano lo stipendio sotto forma di cibo e permettevano alla famiglia di vivere in una baracca, qualche volta gli davano poche monete.
Erano gli anni ‘60 del secolo scorso, Dolores non sapeva né leggere né scrivere; suo padre le diceva che non aveva i soldi per la scuola e che comunque una donna non aveva bisogno d'andarci. Furono queste le ragioni per cui quando Dolores arrivò un giorno a Barcellona, a sedici anni, per andare a trovare una sua zia, decise di non fare più ritorno a casa.
Qui trovò poi lavoro in una fabbrica dove finalmente imparò a leggere, a scrivere e a guadagnarsi uno stipendio e dove conobbe suo marito, col quale mise su famiglia.
Dolores è solo una dei tanti immigrati del sud della Spagna che dovettero lasciare la loro bella terra per poter vivere con dignità.
La storia continua: ancora oggi una cerchia ristretta di persone continua a pensare che il mondo sia soltanto proprietà loro.

Testo di © Joan Mateo
Mi facevano fantasticare di luoghi lontanissimi
Colombia - Valencia

Quando ero piccola mia nonna mi raccontava sempre la storia dei suoi vicini colombiani. Gabriela e Juan erano una coppia che viveva ormai da parecchi anni al piano sopra a quello dei miei nonni. Li ho sempre trovati gradevoli perché sempre avevano un sorriso in bocca e parlavano a lungo di luoghi esotici con i miei nonni quando si incontravano sul pianerottolo. Dato che Gabriela e Juan erano colombiani, questi luoghi esotici di cui parlavano erano tutti in Colombia.
Entrambi provenivano da famiglie contadine legate al mondo del cacao, le cui piantagioni si trovavano nel bel mezzo della Sierra Macarena. Le condizioni delle famiglie dei contadini della Sierra Macarena ad un certo punto erano peggiorate assai, dopo la crisi del cacao negli anni Cinquanta che aveva portato la povertà e costretto la gente a cercare un altro modo per tirare avanti e guadagnarsi da vivere. La maggioranza delle persone scelse l'emigrazione e Gabriela e Juan non furono un’eccezione.
Appena arrivati in Spagna non si trovarono bene né loro, né i tre figli con cui erano venuti e che ancora studiavano. Non conoscevano nessuno e non avevano parenti qui. Per questo scartarono la possibilità di abitare in una casa isolata in periferia e affittarono invece un appartamento in un condominio nel centro del paese, per fare più facilmente amicizia.
In questo condominio abitavano (ed ancora abitano) i miei nonni. Passò poco tempo e divennero amici. Stavano molto insieme, ricordo ancora quando andavo con i miei genitori a trovarli e quando d’estate facevo merenda con mia nonna, io seduta sulle scale all’aperto (si stava proprio bene lì fuori, col caldo che faceva!), molti di quei pomeriggi scendeva appunto nel nostro pianerottolo la signora Gabriela e ci raccontava storie bellissime del suo paese. Lei sapeva bene che mi piacevano moltissimo e che mi facevano fantasticare di luoghi lontanissimi.
Conosceva decine di storie, tuttavia io le chiedevo sempre che mi raccontasse di nuovo la stessa: quella che si svolgeva lungo il Caño Cristales, un fiume che della Sierra della Macarena. Questo, curiosamente, non era - anzi non è - un fiume fantastico, bensì reale. Perché dico "curiosamente"? Perché Caño Cristales, anche chiamato "fiume arcobaleno", è un fiume molto particolare, così bello da non sembrare vero. Le sue acque, grazie alle alghe e ai muschi, presentano da settembre a novembre colori vivacissimi, anche se quello che più si nota è il rosso.
Dopo aver vissuto trent’anni in Spagna, sebbene Gabriela e Juan alla fine fossero stati abbastanza felici, sentirono la voglia di ritornare al loro paese, per trascorrervi gli anni della vecchiaia. Ormai non si dovevano più preoccupare dei figli, già adulti e indipendenti; tra l’altro, per non smentire la tradizione di famiglia, tutti e tre erano andati all'estero a cercare lavoro. Insomma, quello che gli restava in Spagna erano tutte le amicizie che avevano fatto, alcune sui pianerottoli, come quella con i miei nonni. Era stata una decisione dura ma credevano che un ritorno fosse arrivato il momento di ritrovarsi con la loro gente e con la loro terra.
Adesso quando vado a trovare i miei nonni mi rattristo un po’ quando dalle scale guardo in alto e ricordo quelle merende e quelle chiacchiere che facevamo con i colombiani.
Alcuni mesi fa, i miei nonni hanno ricevuto una lettera che veniva d'oltremare. Quando gliel'ho letta i miei occhi si sono riempiti di lacrime di gioia: Gabriela raccontava piena di fierezza che i suoi figli li avevano raggiunti e avevano avviato un’attività dedicata alla raccolta e alla lavorazione del cacao, stavano insomma cercando di rilanciare l’economia della zona.
Alla fine si tratta di una bella storia, sembrava solo amara e invece, proprio come il cacao, alla fine…

Testo di © Marta Martínez

Fuori dal continente. Romania – Londra; Barcellona – Maiorca – Buenos Aires

Fuori dal continente
Quanto si intristì all'andarsene dal suo paese
Romania-Londra


So di una storia curiosa di immigrazione della nonna di mia mamma che emigrò in Inghilterra centoventi anni fa. In realtà, credo che ci siano molte storie curiose dei miei antenati, tuttavia abbiamo perso questi racconti per il passare del tempo e per colpa della cattiva memoria dei miei.
Quindi parlerò di Rose Blumenfeld, nata il 28 dicembre 1888 e proveniente dalla Romania. Alla fine del secolo diciannovesimo, vista l'ondata crescente di antisemitismo nel continente, lei e molti altri ebrei europei, decisero di emigrare in un paese sicuro, anziché far andare tutto a rotoli, circondati com'erano da una popolazione che ne aveva disprezzo.
Stando a quanto dice mia madre, all’inizio del Novecento, essere un'immigrante nel nostro paese - l'Inghilterra - non era così facile nemmeno una volta entrati, perché lo stato voleva controllare tutti attraverso i documenti di registrazione e sapere sempre dove ognuno alloggiasse. Nonostante queste imposizioni, tutto ciò era per Rose più gradevole di quello che aveva provato nel continente e, dato che c’era una comunità molto numerosa di ebrei a Stamford Hill, un quartiere nella zona est di Londra, immigrarci aveva comunque avuto un senso. Era un quartiere dove si conservava la ricchezza della nostra cultura e in cui tutti badavano a tutti.
Io, qui a Barcellona, da inglese comodo comodo, con la mia esperienza di immigrazione moderna, non me la sento di criticare gli immigranti di oggi, sapendo quello che patì la mia bisnonna e quanto si intristì all’ andarsene dal suo paese di nascita nel pieno della sua giovinezza.
Mia madre mi racconta che vivevano tutti in un appartamento piccolo piccolo e che in tutti i luoghi per cui passava Rose doveva registrarsi presso la polizia locale. Abbiamo ancora i suoi documenti di quei tempi, documenti di registrazione per gli ‘aliens’, ovvero gli ‘immigranti’. Era ovviamente opprimente per lei dover registrarsi ovunque andasse, perché ciò che più desiderava non era essere trattata così, bensì essere libera di muoversi. Alla fine degli anni Sessanta, il governo smise finalmente di controllarli (gli immigranti) attraverso tanti documenti e lei poté viaggiare all’interno del paese.


Testo di © Eddy Michaels
Se ne andò a Maiorca a costruire il cinema
Barcellona-Maiorca-Buenos Aires


La storia dello zio Joan, il marito della sorella della mia bisnonna, non è per niente usuale. Lui era un saldatore di Barcellona quando, all'inizio del XXº secolo, non ce n'erano molti. Così se ne andò a Maiorca a costruire il cinema Augusta (vicino alla casa dei miei genitori, a Palma).
Tutto però se ne andò a rotoli con la guerra e lui, anziché ritornare a Barcellona, dovette diventare soldato e rimanere a Maiorca. Nonostante questo cambiamento di programma, per lui non fu una disgrazia, bensì una fortuna.
Un giorno, quando il suo squadrone passava per Llucmajor, un grande paese di Maiorca, egli vide due ragazze giovani, una delle quali stava cucendo. Andò verso di loro con un bottone e gli chiese se glielo potevano cucire sulla camicia. È così che conobbe la zia Francisca (in tutta la mia famiglia abbiamo lo stesso nome), una maestra di scuola.
All'inizio Francisca usciva con un uomo di Llucmajor, il suo paese e quello dei miei nonni. Tuttavia, si innamorò pazzamente di quel catalano saldatore e lasciò il “llucmajorer”, che non si sposò mai con nessun’altra.
Dopo la guerra, si trasferirono a Barcellona, si sposarono e ebbero una figlia. Però non si accontentarono di una vita tranquilla: decisero di vivere un'altra avventura.
Ma come finirono in Argentina?, vi chiederete. Dato che offrirono allo zio Joan un lavoro a Buenos Aires con una casa pagata e tutto bell'e pronto, non si può dire che partirono per scappare dalla povertà. Il lavoro di meccanico saldatore che avrebbe dovuto fare era in una fabbrica.
Vissero a Buenos Aires per molti anni e Joan vi fondò la sua di fabbrica e l'attività che aveva messo su diventò molto prospera, con più di cento persone impiegate.
Quando furono più vecchi, non se la sentirono di morire in un luogo che non era il loro e si rattristarono un po'. Quindi, alla fine, dopo essere andati in pensione, decisero di tornare a Maiorca per passarci la vecchiaia.
Lui morì a Palma una decina d'anni più tardi, nella sua terra amata.



Testo di © Francesca Vidal
Foto © Antonio Crialesi ● www.crialesi.it
Giugno 2016

Viaggio di sola andata. Burgos – La Bisbal; Jaén – Barcellona


Viaggio di sola andata

E lì fu mandato a dare buoni consigli ai contadini locali
Burgos - La Bisbal


Una storia d’immigrazione che mi piacerebbe raccontare è quella di mio suocero, Luis Prieto.
Nato a Burgos nel dopoguerra, nella sua giovinezza studiò prima nella sua città e dopo a San Sebastián e Navarra.
I suoi genitori, entrambi impiegati statali a Burgos, gli avevano consigliato di diventare ingegnere agronomo.
Dato che uno dei cinque figli avrebbe dovuto occuparsi delle proprietà della famiglia, avevano pensato proprio a lui. Non parliamo di possedimenti d’una ricchezza enorme, bensì d’una normale proprietà, anzi un po’ arida, in un piccolo paese della Tierra de Campos, vicino a Palencia, che sarebbe comunque stata in grado di dare da vivere, e pure abbastanza bene, a una famiglia.
Siccome nessuno dei figli se la sentiva di lavorare la terra, la tradizione agricola familiare se ne sarebbe andata a rotoli, se i genitori non avessero scelto lui. Anche se in quel paesino veramente non ci abitavano ogni giorno dell'anno, ma piuttosto d'estate, Luis fin da piccolo aveva molto amato quella terra.
E fu così che, seguendo il volere e la tradizione familiare e prima di trasferirsi definitivamente al villaggio, fece un esame per diventare ingegnere agronomo statale. La sorpresa arrivò quando, una volta superato l’esame, lo destinarono a La Bisbal, una località vicino a Girona e all'estremo est della Spagna e lì fu mandato a dare buoni consigli ai contadini locali; nessuno aveva davvero mai sospettato che lo potessero mandare in un posto che non fosse Burgos...
Stando così le cose, mio suocero, ormai rassegnato a andarsene da un'altra parte, acquistò subito un dizionario castigliano-catalano e fin dall’inizio cercò di integrarsi nella cultura locale e di parlare con gli agricoltori della zona nella loro propria lingua. Sebbene questo sembri normale oggi, nei primi anni sessanta (eravamo ancora nella Spagna franchista), non c’erano tanti impiegati statali spagnoli che lo facevano. Tutt'altro, molti volevano ritornare nella loro provincia il prima possibile.
Una volta appreso il catalano, Luis si innamorò d’una catalana. Ecco fatto! Matrimonio, figli, eccetera, eccetera...
Non pensò mai più di ritornare nel paesino della Castiglia, ma di diventare un vero catalano d’adozione.
Insomma, alla fine il progetto che per lui avevano pensato i suoi genitori era fallito, perché il ragazzo aveva seguito la sua strada.
Oggigiorno i campi nel bel paese della provincia di Burgos, venduti ormai da tempo, vengono ancora coltivati e chi se ne occupa è un cugino del protagonista di questa storia.




Testo di © Pere Gifra
Vide per la prima volta il suo primogenito in carcere
Jaén - Barcellona



Manuel nacque a Jaén nel 1915 e ha una strana storia di emigrazione, giacché non è stata la povertà o la ricerca di avventura quello che ha motivato il suo viaggio.
A causa del servizio militare fu trasferito a Barcellona e siccome suo padre era 'guardia civile', lui fu destinato allo stesso reggimento.
Mentre faceva ancora il servizio militare, nell'anno 1936 scoppiò la guerra civile e Manuel faceva parte di quella metà dei militari che erano stati fedeli alla repubblica; la qual cosa, insieme alle sue idee comuniste, gli avrebbe portato un bel po' di problemi.
Non era nei suoi piani rimanere a Barcellona, ma un po’ prima del colpo di stato, Manuel aveva conosciuto Maria, i cui genitori vedevano di cattivo occhio il loro rapporto perché la ragazza aveva lasciato un altro fidanzato apparentemente più equilibrato e stabile di Manuel. Nonostante questo fidanzamento non fosse per niente facile, da un lato per il confronto con la famiglia di lei e dall’altro per la situazione di conflitto sociale, la coppia andò comunque avanti per la propria strada. Manuel, che non si tirava facilmente indietro, si disse che Maria sarebbe stata sua moglie.
Manuel se ne andò al fronte di guerra poco dopo aver sposato Maria, che era incinta. Dopo pochi mesi egli venne arrestato dalla polizia e incarcerato nella prigione di Cadice, con l'accusa di ribellione (anche se lui sosteneva che i ribelli erano loro); più tardi fu trasferito a Barcellona, e in attesa di processo rimase nel carcere di Montjuïc per tre anni. Nel frattempo Maria aveva dato alla luce il suo primo figlio.
Manuel vide per la prima volta il suo primogenito in carcere, e una seconda volta nel processo in cui fu condannato a morte. Tuttavia un colpo di fortuna cambiò il destino della giovane famiglia: Manuel fu liberato ed uscì dalla prigione, a condizione che si presentasse ogni settimana in caserma.
Sebbene Manuel in qualche modo avesse iniziato un nuovo percorso di vita, come conseguenza dei tre anni senza libertà e della stretta sorveglianza a cui era soggetto, non ce la faceva a tirare avanti la famiglia; per fortuna Maria era una donna forte e ottimista, quindi lei badava a tutti e a tutto, senza mollare mai. Questa storia però non è sempre stata così tragica, ci furono dei bei momenti; la famiglia crebbe, Manuel recuperò la gioia di vivere, e anche la sua passione per la poesia, regalando alla famiglia un nuovo spirito che ancora oggi permane.
Manuel non se la sentì mai di tornare a Jaén, diceva sempre che Barcellona, la Catalogna, dove era arrivato quasi per caso, era il suo posto. Due ricordi sono ancora vivi nella mia memoria: mio nonno Manuel mentre mi legge poesie di Miguel Hernández e la sera della sua morte, mentre sussurrava: assassini, assassini. Mi intristisce, quando ci penso.

Testo di © Yolanda Olmos
Foto © CapGazette
Aprile 2016