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All’Isola di San Lazzaro degli Armeni. Seconda parte

All'Isola di San Lazzaro degli Armeni
Seconda parte

Per entrare nella chiesa del monastero di San Lazzaro degli Armeni si attraversa un chiostro rinascimentale che fa da corona a un piccolo giardino. Tra le piante troviamo un'antica glicine, dei roseti, un'Araucaria araucan, detta anche Pino del Paranà, e naturalmente l'albero simbolo dell'Armenia: il melograno. Nella mitologia greca il melograno viene associato alla dea Afrodite, ai cristiani ricorda la perfezione divina, per gli ebrei simboleggia la terra promessa, mentre i musulmani lo evocano contro l'odio e l'invidia. Nella parte settentrionale dell'isola i filari di pini si alternano a quelli dei roseti; è qui che vengono coltivate le rose da cui i frati ricavano il vartanush, la famosa marmellata fatta con i petali raccolti all'alba o al calar del sole durante il mese di maggio.
Su una parete del chiostro si leggono alcuni versi che sono stati tradotti dalla scrittrice italo-armena Antonia Arlsan e che sono tratti dal Ritorno di Daniel Varujan, il poeta armeno morto nel genocidio del 1915:
Questa sera veniamo da voi, cantando un canto, / per il sentiero della luna, / o villaggi, villaggi; / nei vostri cortili / lasciate che ogni mastino si svegli, / e che le fonti di nuovo / nei secchi irrompano a ridere. / Per le vostre feste dai campi, vagliando / vi abbiamo portato con canti la rosa. / Questa sera veniamo da voi, cantando l’amore, / per il sentiero della montagna, / o capanne, capanne; / di fronte alle corna del bue / lasciate che infine si aprano le vostre porte, / che il forno fumi, che si incoronino / di un fumo azzurro i tetti. / Ecco a voi le spose con i nuovi germogli / hanno portato il latte con le brocche. / Questa sera veniamo da voi, cantando la speranza, / per il sentiero del campo, / o fienili, fienili; / tra le vostre buie pareti / lasciate che risplenda il nuovo sole, / sui tetti verdeggianti / lasciate che la luna setacci la farina. / Ecco vi abbiamo portato il fieno raccolto in covoni / la paglia con il dolce timo. / Questa sera veniamo da voi, cantando il pane, / per il sentiero dell’aia, / o granai, granai; / nell’oscurità del vostro seno immenso / lasciate che sorga il raggio della gioia; / la ragnatela sopra di voi / lasciate che sia come un velo d’argento; / poiché carri, file di carri vi hanno portato / il grano in mille sacchi.
La chiesa mantiene la struttura a tre navate dell'originaria e trecentesca chiesa benedettina, ma dopo il primo restauro effettuato nel Settecento da Mekhitar, padre del monastero e dell'ordine, ha continuato a subire modifiche fino al secolo scorso. Al suo interno, come in tutte le chiese armene e in ricordo di una visione della Madonna avuta dal fondatore, c'è un altare consacrato alla Vergine; sopra l’altare principale i ritratti delle vetrate colorate raffigurano San Lazzaro, patrono dell'isola, e San Mesrop.
Fu quest'ultimo che, per poter tradurre la Bibbia, creò nel 405 l’alfabeto armeno, composto allora da 36 diversi segni, 7 vocali e 29 consonanti; Mesrop scelse allora anche il tipo di scrittura, da sinistra a destra, come nel greco, e non al contrario, come invece succedeva nella scrittura assira. Davanti all'altare maggiore può scorrere una grande tenda rossa che viene chiusa durante la Quaresima per separare la divinità dall’uomo e riaperta nel giorno della resurrezione, quando l’umanità è stata salvata dal peccato originale.
Alltri due ritratti vanno considerati piuttosto importanti per la storia religiosa armena: uno è quello di San Antonio Abate, qui però col volto di Mekhitar; infatti al momento della fondazione dell'ordine ci si rifece proprio alle regole di quello benedettino: ora et labora. L'altro è il ritratto di San Gregorio l'Illuminatore, grazie al quale nell'antica Armenia il cristianesimo divenne religione di stato.
La biblioteca e il museo si trovano al piano superiore; c'è un telescopio del Seicento posto accanto alla porta d’ingresso, a voler ricordare l’importanza che l’ordine mekhitarista ha sempre conferito agli studi e alla ricerca, quali mezzi che avvicinano alla verità o la svelano. Fu proprio grazie a questo che Napoleone considerò San Lazzaro degli Armeni più come un centro di studi e di cultura, che non come centro religioso, risparmiandone così la chiusura.
Il museo raccoglie molti oggetti un tempo appartenuti ai commercianti armeni. Uno dei pezzi più importanti della raccolta è la palla di Canton, opera di un monaco buddista che da una zanna di elefante ha ricavato una sfera d'avorio composta a sua volta da altre quindici sfere indipendenti l'una dall'altra e impreziosite con incisioni di scene della vita di Budda.
Nella biblioteca si trovano da una parte i libri religiosi e dall’altra i libri scientifici; superati gli scaffali si entra in una stanza con una serie di vetrinette che custodiscono oggetti di culto di vario tipo: una spada di Leone VI, ultimo re di Cilicia, ceramiche e monete, una maschera mortuaria del musicista armeno Komitas Vardapet, morto nel 1935 e artefice della raccolta delle più importanti musiche tradizionali armene. Nella successiva sala, detta di Byron e così chiamata perché il poeta inglese la usava come studio quando tra il 1815 e il 1817 soggiornò sull'isola, c’è un trono indiano del 1400 e la mummia egiziana del principe Nehmekhet, perfettamente conservata.
Al termine della visita risalpiamo in direzione della Riva degli Schiavoni e pare quasi di abbandonanare il leggendario paradiso terrestre delle antiche terre armene. Il buio è già sceso quando saliamo sul vaporetto; grazie a un miraggio, e a questa visita, l'imbarcazione si trasforma nell'Arca di Noè che, approdata nella notte dei tempi sull'Ararat, ora scende dal più alto monte d'Armenia e riprende il suo viaggio.


Text & Foto: Nicoletta De Boni © Cap Gazette
Marzo 2015