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la pulizia del bosco

La pulizia del bosco
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Mario Silvestrel possiede un bosco che si estende per circa 5 ettari, su un’altezza che va dai 970 ai 1075 metri sul livello del mare. Quando nel mese d’agosto torna in vacanza nella sua proprietà di montagna, alloggia nella vecchia stalla che ha ristrutturato per i soggiorni estivi; quando vi arriva, tutt’attorno l’erba è già stata tagliata, il fieno raccolto. Il bosco, che in alcuni tratti è oramai faticoso penetrare, lui lo osserva dalle fessure scavate nelle grosse pareti in pietra e da lì, dentro casa, gli pare che si avvicini sempre di più, man mano che passano gli anni.
Forse sono quasi sessanta, si ricorda Silvestrel, da quando i prati erano grandi, così grandi che dalla cima si potevano distinguere con chiarezza i comuni e le frazioni giù nelle valli; se ora da qui guardi in basso, vedi invece solo piante fitte, e se cerchi una vista bella e aperta, la trovi solo alzando gli occhi. Di fronte ci saranno allora le vette predolomitiche, sulle quali vale la pena lasciare lo sguardo sospeso per qualche minuto, anche se l’ideale sarebbe poter aspettare almeno una silenziosa mezz’ora per prestarsi così al gioco di prestigio preferito dalle cime: trasformare colui che le osserva da linea a punto, da qualcosa che dura a qualcosa che è, poi parlargli della Storia e del Mondo che già enormi si faranno giganti e useranno le voci dei tempi abitati e di quelli ignoti.
Quando era ragazzo, Mario ci si trasferiva a piedi in montagna; appena finiva la scuola andava fin lassù a 600 metri sopra il paese con tutta la famiglia, una trentina di mucche e sui carretti conigli e galline. Con loro si spostavano un catharòl, che una volta in alto si sarebbe dedicato al pascolo delle mucche, e un vacàr che avrebbe preparato anche del buon formaggio. Gauchos e cowboys d’alta montagna. Quando poi un giorno, già sul finire dell’estate, arrivava l’8 settembre, ognuno raccoglieva un bel po’ di ramaglia d’abete e con quella si accendeva un gran falò che vedevano tutti di sotto, in valle. Quel fuoco dei Silvestrel insieme a quelli dei vicini celebravano la Vergine Maria e la fine della stagione. Era ora di tornare.
Nemmeno a quei tempi in cui i prati d’altura assomigliavano ai campi delle colline o delle pianure di oggi, i boschi si sfoltivano da soli, né gli alberi crescevano veloci e tutti dritti, o parlanti come quelli dei racconti del nonno Bortolo; nella realtà degli anni Cinquanta era ancora il lavoro quotidiano del pascolo, del taglio e della raccolta a tenere in ordine la montagna.
Ora che la storia è un’altra Mario Silvestrel, chiamato in paese ‘el Fae’ per quel suo vecchio vizio di ripetere a petto gonfio fae mi, fae mi, faccio io, faccio io, dovrà pensarci per davvero lui alle pulizie nel bosco, ma non potrà fare da solo. Ne affiderà dunque il compito, rude e minuzioso, a una ditta boschiva in possesso di un patentino di idoneità forestale e prima ancora avrà ottenuto di beneficiare delle sovvenzioni che l’Unione Europea gli mette a disposizione attraverso i programmi di sviluppo rurale della sua regione. Per stabilire quanti soldi concedergli, una commissione avrà valutato il risultato di un sopralluogo eseguito da un dottore forestale o da un dottore agronomo.
Ed ecco che cosa hanno scoperto i suddetti dottori, camminando sugli ettari del Fae: circa 3,5 ettari hanno bisogno di un intervento urgente di miglioramento e di prevenzione degli incendi; gli alberi hanno in media un diametro di 28,5 centimetri e un’altezza di 18 metri; la loro età si aggira intorno ai sessanta anni; sui prati pascoli abbandonati vegetano noci, betulle, ciliegi selvatici, larici e abeti rossi e, nel sottobosco, rovi e noccioli. A parte i rovi che ci riesce facile immaginare come artigli e trappole e che infatti i dottori definiscono invadenti, verrebbe da dire bene, qui di vita non ne manca! E invece no, non va molto bene, perché c’è montagna e montagna, ovvero c’è una montagna dove gli abeti crescono più lenti ma più forti e una montagna dove gli abeti crescono veloci ma deboli ed è quest’ultima la montagna di Mario. Eppure l’abete qua ci è sempre cresciuto, sarà mica la terra ad essere cambiata? Chi lo sa, il Silvestrel intanto prende atto che il suo bosco è popolato soprattutto da intrusi, fatta eccezione per i faggi che sono gli unici che dovrebbero e potranno viverci.
Se gli alberi potessero leggere i verbi scelti per la stesura del rapporto presentato alla commissione regionale, scapperebbero a radici levate. Depezzare, diradare, spalcare, sramare, decespugliare; chi di loro ha mai sentito parole di tale serietà, di siffatta imponenza? Una lingua così, giurano insieme, non era mai arrivata fin quassù coi loro contadini e boscaioli, quasi quasi iniziano a rimpiangere il silenzio degli ultimi anni. Tuttavia sarà il caso di essere ottimisti e di fidarsi dei gesti secolari: abbattere un albero e tagliarne rami e radici, sfoltirne la chioma o toglierne i rami più bassi affinché arrivino luce e aria al suolo; sradicarne degli altri, tagliare i tronchi e accatastarne i rocchi.
Le vacanze del Silvestrel stanno per finire, è da anni ormai che non vive delle terre e degli animali e deve tornare al lavoro, non può più aspettare l’8 settembre come una volta, adesso che questo è anche il giorno in cui si ricorda la Resistenza e quei partigiani che si nascosero pure tra questi suoi alberi quando lui era ancora un bambino. Prima di ripartire lascerà il bosco in mano alla ditta boschiva, ai boscaioli come ancora li chiama lui, che approfitteranno degli ultimi caldi per mettersi all’opera, poi a novembre smetteranno e ritorneranno su a fine marzo, forse agli inizi d’aprile. I faggi di Mario serviranno un giorno per costruire o rivestire mobili; l’abete rosso, ma solo quello buono delle montagne vicine alla sua, che assorbe poco l’umidità e perciò dura a lungo, verrà usato in edilizia, per tetti, travi o alberi di navi. Ma se invece qualcuno di loro si ostinerà a crescere, ancora debole, sulla proprietà del Silvestrel, potrà sempre servire giù in paese per farci un bell'albero di Natale.

Text: N. De Boni ©CAPgazette
Foto1: Monte Roncon / Foto 2: Bonnieux / Foto 3: Forêt des Cèdres du Petit Luberon Foto 4: Monte Roncon / Foto 5: Radici. La Grevolosa 2012
Mar 2014