Posts Tagged: Albert Àlvarez

Jesuïtes al Paraguai

Jesuïtes al Paraguai

Diuen que només hi ha tres coses que Déu no sap:
1- Quants són els ordres monastics femenins.
2- Quantes escoles han fundat els salesians.
3- Què pensa un jesuïta.
Jo n’afegiria una quarta, potser menys enginyosa però un pèl apocalítpica:
4- Quants llibres han escrit els seus fills, aquells del Gènesi i capitols següents, nines dels seus ulls.
Així doncs, m’imagino un Déu en pijama, oblidat per tothom i ell mateix oblidós de la sort de les esmentates nines, còmodament assegut a l’Univers (que té forma de biblioteca, infinita), els peus al caliu d’un parell de galàxies, toves com mitjons, immers, a la feble llum d’una làmpada de nit en format quasar, en la lectura de tot allò que s’ha escrit en papir, pergamí i paper, o en pdf, en sumeri, sanscrit, etrusc (poca cosa), arameu, grec, llatí, guaraní, àrab, bantu i saxó pels segles dels segles. Déu n’hi do! Exclama de tant en tant, sorprès per tant d’enginy que ell mateix no es pensava d’haver creat…

Al nostre petit univers de butxaca, una nova immersió dins les coves submarines de la biblioteca de l’Institut Italià de Cultura de Barcelona han donat nous fruits: El cristianisme feliç a les missions dels pares de la Companyia de Jesús al Paraguai, de Ludovico Antonio Muratori, arviver, bibliotecari (ell també!), pare de la historiografia italiana, editat per primer cop al 1743 i a partir d’aleshores diverses vegades, fins l’edició de Sellerio del 1985 que va acabar a la xarxa de pescar de CapGazette.
El llibre explica amb molta cura l’estada dels Jesuïts al Paraguai, les seves obres, les seves dificultats, els seus errors, els seus descobriments, la seva presumpció i la seva humilitat, els conflictes amb els Indis, amb les administracions colonials espanyola i portuguesa i amb els malparits “Mammalucchi”, caçadors d’esclaus sense escrúpols que venien als propietaris de les plantacions brasileres.

És possible que algú recordi una pel·licula del 1986, The Mission, amb en Rober De Niro i en Jeremy Irons, sobre el mateix tema.
Traduïm aquí un breu fragment del llibre, en el cual Muratori ens parla del talent musical dels Indis, que no era inferior al d’Ennio Morricone, autor de la banda sonora de la pel·licula.
Sobre la música dels Indis del Paraguai

És digna d’ésser aquí registrada una altra invenció de gran valor amb la finalitat d’alimentar i fer crèixer la devoció dels nous fidels americans, i també per atreure els infidels a la veritable religió i unir-se als altres Indis dins les Reduccions ja fundades. Aquesta invenció consisteix en la música, sobre la qual aquells industriosos missionaris tenen sovint prou coneiximent i algú en sap fins i tot a la perfecció. És increible la inclinació natural que aquells pobles poseeixen en l’harmonia […] a més de l’esmentada inclinació, en ells es troba una admirable habilitat per la musicalitat de les veus i dels instruments musicals, és a dir, una predisposició per aprendre tot allò que es refereix al cant i al so. Tenen veus excel·lents, i esdevenen així, i fins i tot més harmonioses que en altres països, gràcies a les aigues dels rius Paranà i Uruguai, perquè no beuen res més que aigua sana i pura […]. Allò que és més admirable és que a Europa no hi ha, potser, instrument musical que no s’hagi introduït i que no es toqui entre aquests bons Indis, com l’orgue, la guitarra, l’arpa, l’espineta, el llaüt, el violí, el violoncel, el trombó, el cornetto, l’oboè i d’altres semblants. I aquests instruments, no només els fan servir delicadament, si no que fins i tot els fabriquen amb les seves mateixes mans […].

Fragment de Ludovico Antonio Muratori (1672-1750):
El cristianisme feliç a les missions dels pares de la Companyia de Jesús al Paraguai.



Intro: Paolo Gravela
Il·lustracions àngel estilita i àngel en vol: Albert Àlvarez
Foto (Piverone, Gesiun, detall): Lino Graz
CapGazette 3/2016

Gesuiti in Paraguai

Gesuiti in Paraguai

Dicono che ci siano solo tre cose che Dio non sa:
1- Quanto sono gli ordini monastici femminili.
2- Quante scuole hanno fondato i salesiani.
3- Che cosa pensa un gesuita.
A queste ne aggiungerei una quarta, forse meno spiritosa ma un briciolo apocalittica:
4- Quanti libri sono stati scritti dai figlioli suoi, quelli della Genesi e capitoli successivi, pupille dei suoi occhi.


Mi immagino allora un Dio in pigiama, ormai dimenticato da tutti e lui stesso dimentico delle sorti delle suddette pupille, comodamente seduto sull’Universo (che ha forma di biblioteca, infinita), i piedi al caldo in un paio di galassie morbide come calzettoni, immerso, alla fioca luce di una quasar-abatjour, nella lettura di tutto quello che è stato scritto su papiro, pergamena e carta, o in pdf, in sumero, sanscrito, etrusco (poca roba), aramaico, greco, latino, guaranì, arabo, bantù e sassone nei secoli dei secoli. Dio mio! Esclama ogni tanto, sorpreso da tanto ingegno che non credeva d’aver creato…

Nel nostro piccolo universo tascabile, una nuova immersione nelle grotte sottomarine della biblioteca dell’Istituto Italiano di Cultura di Barcellona ha dato nuovi frutti: Il cristianesimo felice nelle missioni dei padri della Compagnia di Gesù nel Paraguai, di Ludovico Antonio Muratori, archivista, bibliotecario (anche lui!), padre della storiografia italiana, pubblicato per la prima volta nel 1743 e poi successivamente molte altre volte fino all’edizione di Sellerio del 1985 che è finita nelle rete da pesca di CapGazette.
Il libro racconta con molta attenzione della stagione dei Gesuiti in Paraguai, le loro imprese, le loro difficoltà, i loro errori, le loro scoperte, la loro presunzione e la loro umiltà, i conflitti con gli Indios, con le amministrazioni coloniali spagnola e portoghese e con i famigerati Mammalucchi, feroci cacciatori di schiavi da vendere a proprietari delle piantagioni brasiliane.

Qualcuno forse ricorderà un film del 1986, The Mission, con Rober De Niro e Jeremy Irons, sullo stesso tema. Riportiamo qui un breve passo del libro in cui il Muratori narra del talento musicale degli Indios, non inferiore a quello di Ennio Morricone, autore della colonna sonora del film.

Della musica degli Indiani del Paraguai

È degna di essere qui registrata un’altra invenzione di gran riguardo per nutrire ed accrescere la devozione dei nuovi fedeli americani, ed anche per attirare gli infedeli alla vera religione e a unirsi agli altri nelle Riduzioni già fondate. Questa invenzione consiste nella musica, di cui quegli industriosi missionari hanno spesso sufficiente cognizione e taluno ne sa anche a perfezione. È incredibile l’inclinazione naturale che quei popoli posseggono nell’armonia […] oltre alla suddetta inclinazione, in essi si trova una mirabile abilità per la musica delle voci e degli strumenti musicali, cioè una predisposizione per apprendere tutto ciò che spetta al canto e al suono. Hanno ottime voci, e a renderle tali, e anche più armoniose che in altri paesi, concorrono le acque del fiume Paranà e Uruguai, perché non bevono altro che acqua sana e pura […]. Quello che è più mirabile è che in Europa non vi è forse strumento musicale che non sia stato introdotto e che non si suoni tra questi buoni Indiani, come l’organo, la chitarra, l’arpa, la spinetta, il liuto, il violino, il violoncello, il trombone, il cornetto, l’oboe e altri simili. E tali strumenti non solo vengono da essi usati delicatamente, ma addirittura fabbricati dalle loro stesse mani […].

Frammento da Ludovico Antonio Muratori (1672-1750):
Il cristianesimo felice nelle missioni dei padri della Compagnia di Gesù in Paraguai.



Intro: Paolo Gravela
Illustrazioni angelo stilita e angelo in volo: Albert Àlvarez
Foto (Piverone, Gesiun, particolare): Lino Graz
CapGazette 3/2016

Breve appunto portoghese (o l’arte della digressione)

 
Breve appunto portoghese (o l’arte della digressione)

Sto leggendo Gonçalo M. Tavares, scrittore duro - non indulgente ma tutto sommato, e forse paradossalmente, clemente - di luoghi indeterminati e lingua precisa.

Lingua di precisione la sua, lingua di precisione il portoghese; ne siano esempi:
1- l’uso ancora vivo del futuro del congiuntivo, sfumatura in disuso in spagnolo e a cui altre lingue hanno rinunciato in partenza: falarei a verdade, doa a quem doer.
2 - l’infinito personale, vale a dire coniugato a seconda della persona: eu cantei uma canção para a menina dormir / para as meninas dormirem.

Decifratore, Tavares, delle malattie dei nostri tempi - anzi, delle malattie e basta: bella e triste la metafora della flor negra che troviamo per la strada e di cui non riusciamo più a liberarci.

Mentre leggo, torno col pensiero per libera associazione ad alcuni miei personali “segni portoghesi”: uno spaventapasseri quasi sul confine spagnolo, ironico segnale di frontiera, poco dopo Valencia de Alcántara; l’improvviso tacere (rispetto alla chiassosa Spagna, ma questo meriterebbe - e un giorno meriterà - un articolo a parte); le case bianche e la fabbrica del sughero di Portalegre; l’indimenticabile arrivo “trionfale” in bici a Lisbona di qualche anno fa, con Albert Àlvarez, amico illustratore (sue le illustrazioni in bianco e nero), dopo un lungo, sereno e poetico viaggio che da Madrid ci portò ad attraversare parte della Castiglia, dell’Extremadura e dell’Alentejo portoghese; l’orto botanico di Lisbona: a estufa quente e a estufa fria; una vista verticale del Tago dall’alto del Miradouro de Santa Catarina grazie a Rita Tojal, amica lisboeta che ha viaggiato più di Vasco da Gama; una pensione degna dei Ricordi della Casa Gialla (Recordações da Casa Amarela) film di João Cesar Monteiro. Poi il meandro del Douro a Oporto; il Museo delle Marionette, sempre a Oporto; la cortesia un po’ ingessata dei portoghesi, la loro cura del silenzio…

Di Gonçalo M. Tavares ho letto e consiglio vivamente Jerusalem e Aprender a rezar na Era da Técnica, Imparare a pregare nell’Era della Tecnica, che già solo il titolo vale anni di filosofie.

Tra “oggetti” personali, intimi, coperti di polvere antica, e inevitabili cliché da diario di viaggio, ritrovo naturalmente anche Fernando António Nogueira Pessoa e il suo poeta, artigiano e fingitore, di cui riporto sotto la versione originale portoghese e la mia zoppa traduzione italiana.

Autopsicografia

O poeta é um fingidor
Finge tão completamente
Que chega a fingir que é dor
A dor que deveras sente.

E os que lêem o que escreve,
Na dor lida sentem bem,
Não as duas que ele teve,
Mas só a que eles não têm.

E assim nas calhas de roda
Gira, a entreter a razão,
Esse comboio de corda
Que se chama coração.

(Fernando Pessoa, 1888/1935)
Autopsicografia
Il poeta è un fingitore / Finge così completamente / Che arriva a fingere che è dolore / Il dolore che davvero sente.
E quelli che leggono ciò che scrive / Nel dolore letto sentono bene, / Non quei due che egli ebbe, / Ma solo quello che essi non hanno.
E così nei solchi in tondo / Gira, intrattenendo la ragione, / Questo treno a molla / Che si chiama cuore.


Intro e trad: Paolo Gravela
Illustrazioni: Albert Àlvarez
Foto (Profilo a Oporto e Personaggi sui muri di Oporto): Lino Graz
CapGazette 1/2016

Les aventures de l’Epicur 1

Les aventures de l'Epicur

Aquí hi ha gat amagat

a Misu, Last, Alfredo, Gelsomina
i els altres gats que m’han aguantat.
A Gaetana - Tani - Vergano,
meva professora d’història i filosofia al liceu.

Cap gat, essent jove, dubti en filosofar,
ni essent vell deixi de filosofar.
(Epicur, el gat)


Pròleg

El meu filòsof preferit és el meu gat, no per res es diu Epicur. Pensa tot el dia i no parla mai. Quasi mai: de vegades explica dels seus amics, els gats del barri amb qui dona voltes pels teulats, pels jardins i sota els cotxes aparcats. Són tots filòsofs com ell i es diuen amb els noms més extranys: Parmènides, Heràclit, Leucip, Lucreci, Pitàgores… Santagostí, Spinoza, Leibniz, i un tal Nietzsche, un individu amb grans bigotis que s’ho passa bé atacant els gossos.
En què pensa l’Epicur quan no parla, és a dir gairebé sempre? En les coses. En quines coses? Una mica de tot: en les croquetes, naturalment, en les aventures del carrer, en les rates, els gossos, les colomes, els lloros, les gavines, els cabdells de llana, les ombres, les catifes i les butaques, les cortines i en moltes més coses de la seva vida. Tot i això, més que res pensa en les converses amb els seus amics, per exemple en allò que li va dir el Parmènides una nit de la setmana passada mentre robaven un tros de carn al gos del conserge:
- Pobret, estava lligat i no podia fer res més que lladrar i estirar de la cadena com un boig…
- Això et va dir en Parmènides, Epicur?
- No, aquest és un comentari meu sobre la trista vida del gos del conserge.
- El gos és un animal educat, digne Epicur, no pas com tu. Però ara digues-me què et va dir en Parmènides.
- Ets curiós, eh? Què em dones a canvi?
- Interessat!
- Més aviat, desconfiat. Millor no refiar-se gaire dels humans
- No facis tant el filósof i digues-me què et va dir en Parmènides!
- Llaunes de tonyina?
- Entesos.
- D'acord. - Aixó és el que em va dir el Parmènides: “Cada nit la mateixa història, Epicur, amic meu. Nietzsche que intenta espantar els gossos i els corbs, Sartre i Russell que persegueixen les gatetes i nosaltres aquí robant la carn a aquest pobre diable. Tot es repeteix, amb mínimes variacions sense importància: l'equilibri entre les forces en joc està garantit”.
- Un individu una mica trist el teu amic Parmènides.
- Ell és així. Però no saps què va passar després.
- Què va passar?
- Què em dones a canvi?
- Un altre cop? Però...
- Demà salmó?
- Entesos.
- Mentre el Parmènides parlava, de sobte un raig d’aigua li va caure al cap, esquitxant-me fins i tot a mi. Saps com ens molesta l’aigua als filòsofs: ens vam amagar tot seguit sota un cotxe aparcat.
Tot i l’esglai, no podia deixar de riure imitant el meu amic: res no canvia, estimat Parmenide, hahaha, l’equilibri entre les forces, hahaha, totes les nits tu xerres i l’Heràclit t’escup l’aigua des de dalt del mur… para ja de riure, tu! - Em va dir en Parmènides - Quin amic ets? I aquell maleducat d’Heràclit, si l’agafo...

L’Heràclit és un gat trist i solitari. Està sempre sol amb la seva mala llet, maquinant contra tothom. Un individu esquerp, irascible, desbaratador, rondinaire, envejós…
Però és un filòsof aquàtic, un dels pocs a qui li agrada l’aigua: cada dia es banya una estona al riu i bufa i maleeix qualsevol que passi per la riba (llevat en Tales, un gat vellíssim i un mica boig que diu que l’aigua és una invenció genial, però del vell Tales en tornarem a parlar):
- Dolent! Covard! Gat miserable, gosset!
Crida l’Heràclit a qui gosa apropar-se al riu. Diu que ningú de nosaltres entén res (llevat en Tales). Afirma, l’Heràclit, que el riu és diferent cada dia encara que sembli sempre el mateix i que fins i tot ell mateix, Heràclit, canvia cada dia.
De fet, desprès del bany diari és una mica menys intractable, per no dura gaire: després d’una hora torna a ser l’Heràclit de sempre, ós i corb, a més de gat.
En Parmènides diu que a l’Heràclit li caldria una gata.
L’Heràclit diu que al Parmènides li caldria una gata.
En Tales diu que l’aigua la va inventar ell.
Tot i això, naturalment, ho sé de forma confidencial de l’Epicur mateix, a canvi de les llaunes de salmó.

Però quants són els amics de l’Epicur? Si ho vols saber amb exactitud, ho has de preguntar al Pitàgores, el gat de tres potes. Coneix tots els nombres del món –és a dir del barri: quants gats negres, quantes gates femelles, quants pardals, merles, dragons i ratolins. Si hom li pregunta quantes sargantanes han passat per aquell mur en les últimes tres hores i deu minuts, ell ho sap, amb exactitud, sense cap mena de dubte, amb precisió centesimal, amb mil·lèsimes i tot.
Però no ho diu.
Els seus nombres, precisos com paranys, són efectivament un secret accessible a poquíssims iniciats. Fa cara de gat que s’ho sap tot, però repeteix sempre només que tots els gats tenen el morro triangular, que tots els becs de les merles són triangulars, que totes les cues dels ratolins són triangulars etc etc: té una veritable mania amb els triangles, per a ell tot el món –es a dir, el barri– és triangular.
Bé doncs, com deia, el meu filòsof preferit és el meu gat. És un gat jove, però ja reflexiona molt. Reflexiona tant que és difícil atreure la seva atenció; un pot moure cordes, fils, trossos de paper, o sabatilles, però si l’Epicur reflexiona no s’adona de res, encara menys de l’absurd fregar-se els dits de la mà. L’Epicur reflexiona quasi sempre i no parla quasi mai, per aixó és molt difícil entendre si està de bon humor o en canvi està trist. Cal saber reconèixer les pistes, els senyals.
Fa un temps, per exemple, durant un violent aiguat vaig entendre que l’Epicur estava preocupat perquè es va amagar sota la catifa:
- Penses, Epicur?
Li vaig preguntar. Pregunta absurda per a un filòsof, a més a més gat.
Tot i això, la seva resposta em va deixar sense paraules:
- L’Spinoza ha desaparegut.

Qui és l’Spinoza? Quines preguntes, no ho has llegit a dalt? És un dels millors amics de l’Epicur i és el gat més amable i pacífic del barri. Viu en un jardí de tulipes i no es baralla mai amb ningú, ni tan sol amb les mosques. No pixa mai sobre les plantes, no esgarrapa les catifes, saluda sempre tothom, és vegetarià i tant savi i amable que fins i tot els ratolins li demanen consell. Un dia, fins i tot un advocat es va dirigir a ell per a un consell. Un advocat jubilat, d’acord, un d’aquells que llencen pa als ocells als parcs, però era un advocat.
L’Spinoza, el gat amb ulleres, és amic de tothom al barri i no podia creure que algú li hagués fet mal. Vaig demanar a l’Epicur més explicacions, però ell com a tota resposta em va passar el seu diari dels últims dies. Us he dit que l’Epicur té un diari on explica les seves aventures?

(continuarà...)
Text: Lino Graz
Il·lustració: Albert Àlvarez
CapGazette 7/2015

Las aventuras de Epicuro 1

Las aventuras de Epicuro

Aquí hay gato encerrado

a Misu, Last, Alfredo, Gelsomina
y los demás gatos que me han aguantado.
A Gaetana - Tani - Vergano,
mi profesora de historia y filosofía en el liceo.

Ningún gato, por ser joven, dude en filosofar,
ni por ser viejo deje de filosofar.
(Epicuro, el gato)


Prólogo

Mi filósofo favorito es mi gato, no por nada se llama Epicuro. Piensa todo el día y no habla nunca. Casi nunca: a veces habla de sus amigos, los gatos del barrio con los cuales da vuelta por los tejados, en los jardines y bajo los coches aparcados. Son todos filósofos como él y tienen nombres estrafalarios: Parménides, Heráclito, Leucipo, Lucrecio, Pitágoras… Sanagustín, Spinoza, Leibniz, y un tal Nietzsche, un tipo de bigotes grandes que se lo pasa bien acechando a los perros.
¿En qué piensa Epicuro cuando no habla, es decir casi siempre? En las cosas. ¿En qué cosas? Un poco de todo: en la comida, naturalmente, en las aventuras de la calle, en los ratones, los perros, las palomas, los loros, las gaviotas, los ovillos de lana, las sombras, las alfombras y los sillones, las cortinas y en muchas más cosa de su vida. Sin embargo, más que nada piensa en las conversaciones con sus amigos, por ejemplo en lo que le dijo Parménides una noche de la semana pasada mientras robaban un pedazo de carne al perro del conserje:
- Pobrecito, estaba atado y sólo podía ladrar y tirar de la cadena como un loco...
- ¿Es esto lo que te dijo Parménides, Epicuro?
- No, esto es un comentario mío sobre la triste vida del perro del conserje.
- El perro es un animal educado, honrado, Epicuro, diferente de tí. Pero ahora dime lo que te dijo Parménides.
- ¿Eres curioso, eh? ¿Qué me das a cambio?
- ¡Interesado!
- Más bien, prudente. Mejor no confiar mucho en los humanos.
- No te hagas tanto el filósofo y dime lo que te dijo Parménides!
- Lata de atún?
- Trato hecho.
- Vale. Esto me dijo Parménides: “Cada noche lo mismo, Epicuro, amigo mío. Nietzsche intentando asustar a los perros y a los cuervos, Sartre y Russell persiguiendo a las gatitas y nosotros aquí robando la carne a este pobre diablo. Todo se repite, con mínimas variaciones sin importancia: el equilibrio entre las fuerzas en juego está garantizado”.
- Un tipo algo triste tu amigo Parménides.
- Él es así. Pero no sabes lo que nos pasó después.
- ¿Qué pasó?
- ¿Qué me das a cambio?
- ¿Otra vez? Pero...
- ¿Mañana salmón?
- Trato hecho.
- Mientras Parménides hablaba, de repente le cayó en la cabeza un chorro de agua, que incluso me salpicó a mí. Tú sabes cuánto odiamos el agua los filósofos: nos escondimos en seguida bajo un coche aparcado.
A pesar del susto, sin embargo, no podía dejar de reírme imitando a mi amigo: nada cambia, querido Parménides, jajaja, el equilibrio entre las fuerzas, jajaja, todas las noches tú hablas y hablas... y Heráclito escupiéndote agua desde el muro… ¡Para de reírte, tú! - Me dijo Parménides - ¡Vaya amigo eres! Aquel maleducado de Heráclito, si lo pillo...

Heráclito es un gato triste y solitario. Está siempre solo con su mala leche, arisco, tramando contra todo el mundo. Un tipo irascible, aguafiestas, gruñon, envidioso…
Sin embargo es un tipo acuático, uno de los pocos filósofos a quien le gusta el agua: cada día se baña un rato en el río y sopla y maldice a cualquiera que pase por la orilla (excepto a Tales, un gato muy viejo y algo loco que dice que el agua es un invento genial, pero del viejo Tales volveremos a hablar):
- ¡Bellaco! ¡Cobarde! ¡Gato de cuatro perras!
Grita Heráclito a los que se acercan al río. Dice que ninguno de nosotros entiende nada (excepto Tales). Afirma, Heráclito, que el río es cada día distinto aunque parezca siempre el mismo y que él mismo, Heráclito, cambia cada día.
De hecho, después de su chapuzón diario tiene algo menos de genio, pero dura poco: al cabo de una hora vuelve a ser el Heráclito de siempre, oso y cuervo, además de gato.
Parménides dice que a Heráclito le haría falta una gata.
Heráclito dice que a Parménides le haría falta una gata.
Tales dice que el agua la inventó él mismo.
Todo esto naturalmente lo sé de forma confidencial de Epicuro, a cambio de las latas de salmón.

¿Pero cuántos son los amigos de Epicuro? Si lo quieres saber exactamente, tienes que preguntárselo a Pitágoras, el gato con tres patas. Conoce todos los números del mundo –es decir del barrio: el número de gatos negros, de gatas hembras, de gorriones, mirlos, dragones y ratones. Si se le pregunta cuántas lagartijas han pasado por tal muro en las últimas tres horas y diez minutos, él lo sabe, con exactitud, sin duda alguna, con precisión centesimal, con milésimas y todo.
Pero no lo dice.
Sus números, exactos como trampas, son efectivamente un secreto accesible a muy pocos iniciados. Pone cara de gato que se lo sabe todo, pero repite siempre y sólo que todos los gatos tienen morro triangular, que todos los picos de los mirlos son triangulares, que todas las colas de los ratones son triangulares, etc etc: una verdadera manía con los triángulos, según él todo el mundo -es decir el barrio- es triangular.
Bueno, como decía antes, mi filósofo favorito es mi gato. Es un gato joven, pero ya reflexiona mucho. Reflexiona tanto que es difícil llamar su atención; uno puede agitar cuerdas, hilos, trozos de papel o pantuflas, pero si Epicuro reflexiona no se entera de nada, aún menos del absurdo frotarse los dedos acompañado por chasquidos de la lengua con que nosotros seres humanos imaginamos llamar a los gatos. Epicuro reflexiona casi siempre y no habla casi nunca, por eso mismo es muy difícil entender si está de buen humor o triste. Hay que saber ver las señales, las pistas.
Hace un tiempo, por ejemplo, durante un violento chaparrón entendí que Epicuro estaba preocupado porque se escondió debajo de la alfombra:
- ¿Piensas, Epicuro?
Le pregunté. Pregunta absurda por un filósofo, aún más siendo gato.
Sin embargo, su respuesta me dejó sin palabras:
- Spinoza ha desaparecido.

¿Quién es Spinoza? Vaya preguntas, ¿no lo has leído arriba? Es uno de los mejores amigos de Epicuro y es el gato más amable y pacífico del barrio. Vive en un jardín de tulipanes y no se mete nunca con nadie, ni siquiera con las moscas. No mea nunca en las plantas, non rasga las alfombras, saluda siempre a todo el mundo, es vegetariano y tan sabio y amable que incluso los ratones le piden consejo. Un día, hasta un abogado se consultó con él. Un abogado jubilado, de acuerdo, uno de los que echan migas de pan a las palomas en los parques, pero seguía siendo un abogado.
Spinoza, el gato con las gafas, es amigo de todos en el barrio y no podía creer que alguien le hiciera daño. Le pedí a Epicuro más explicaciones, pero él me contestó pasándome su diario de los últimos días. ¿Os he comentado que Epicuro escribe un diario donde cuenta sus aventuras?

(continuará...)
Texto: Lino Graz
Ilustración: Albert Àlvarez
CapGazette 7/2015

Le avventure di Epicuro 1

Le avventure di Epicuro

Qui gatta ci cova

a Misu, Last, Alfredo, Gelsomina
e gli altri gatti che mi hanno sopportato.
A Gaetana - Tani - Vergano,
mia professoressa di storia e filosofia al liceo.

Nessun gatto, perché giovane, indugi a filosofare,
né perché vecchio smetta di filosofare.
(Epicuro, il gatto)


Prologo

Il mio filosofo preferito è il mio gatto, non per niente si chiama Epicuro. Pensa tutto il giorno e non parla mai. Quasi mai: a volte racconta dei suoi amici, i gatti del quartiere con cui va in giro sui tetti, nei giardini e sotto le macchine parcheggiate. Sono tutti filosofi come lui e si chiamano nei modi più strani: Parmenide, Eraclito, Leucippo, Lucrezio, Pitagora... Santagostino, Spinoza, Leibniz, e un certo Nietzsche, un tipo con dei grandi baffi e che si diverte a fare gli agguati ai cani.
A cosa pensa Epicuro quando non parla, cioè quasi sempre? Alle cose. A quali cose? Un po' di tutto: alle crocchette, naturalmente, alle avventure della strada, ai topi, ai cani, ai piccioni, ai pappagalli, ai gabbiani, ai gomitoli di lana, alle ombre, ai tappeti e alle poltrone, alle tende e a molte altre cose ancora della sua vita. Tuttavia, più di tutto pensa alle conversazioni con i suoi amici, per esempio a quello che gli aveva detto Parmenide una notte della settimana scorsa mentre rubavano un pezzo di carne al cane del custode:
- Poverino, era legato e non poteva far altro che abbaiare e tirare la catena come un pazzo...
- Questo ti ha detto Parmenide, Epicuro?
- No, questo è un mio commento sulla triste vita del cane del custode.
- Il cane è un animale per bene, tutto d'un pezzo, Epicuro, mica come te. Ma adesso dimmi che cosa ti ha detto Parmenide.
- Sei curioso, eh? Che cosa mi dai in cambio?
- Interessato!
- Accorto, piuttosto. Vatti tu a fidare degli umani
- Non fare tanto il filosofo e dimmi cosa ti ha detto Parmenide!
- Crocchette al tonno?
- Affare fatto.
- Ecco cosa mi ha detto Parmenide: “Ogni sera la stessa storia, Epicuro, amico mio. Nietzsche che cerca di spaventare i cani e i corvi, Sartre e Russell che inseguono le gattine e noi qui a rubare la carne a questo povero diavolo. Tutto si ripete, con minime variazioni insignificanti: l'equilibrio tra le forze in campo è garantito”.
- Un tipo un po’ triste il tuo amico Parmenide...
- È fatto così. Ma non sai cosa ci è successo dopo.
- Che cosa?
- Cosa mi dai in cambio?
- Di nuovo? Ma...
- Domani salmone?
- Affare fatto.
- Mentre Parmenide parlava, un improvviso spruzzo d'acqua gli è caduto sulla testa, schizzando anche me. Sai quanto odiamo l’acqua noi filosofi: siamo corsi al riparo sotto una macchina parcheggiata.
Nonostante lo spavento, però, non riuscivo a smettere di ridere facendo il verso al mio amico: nulla cambia, caro Parmenide, hahaha, l’equilibrio tra le forze, hahaha, tutte le sere tu chiacchieri ed Eraclito ti sputa l’acqua dal muretto… Smettila di ridere, tu! - Mi ha detto Parmenide - Bell’amico sei! Quel maleducato di Eraclito, se lo prendo...

Eraclito è un gatto triste e solitario. Se ne sta sempre in disparte ad architettare dispetti e tiri mancini. Uno scontroso, irascibile, guastafeste, brontolone, invidioso…
Però è un tipo acquatico, uno dei pochi filosofi che amano l'acqua: ogni giorno si fa la sua nuotata nel fiume e soffia e maledice chiunque passi lungo la riva (tranne Talete, un gatto vecchissimo e un po’ matto che dice che l’acqua è un’invenzione geniale, ma del vecchio Talete parleremo ancora):
- Vigliacco! Codardo! Gatto dei miei stivali!
Grida Eraclito a chi si avvicina al fiume. Dice che nessuno di noi capisce niente (tranne Talete). Afferma, Eraclito, che il fiume è ogni giorno diverso anche se sembra sempre lo stesso e che anche lui stesso, Eraclito, cambia ogni giorno.
In effetti, dopo il bagno quotidiano è un po' meno intrattabile, ma dura poco: un'ora dopo è di nuovo il solito Eraclito, orso e gufo, oltre che gatto.
Parmenide dice che Eraclito avrebbe bisogno di una gatta.
Eraclito dice che Parmenide avrebbe bisogno di una gatta.
Talete dice che l’acqua l’ha inventata lui.
Tutto questo naturalmente lo so in via confidenziale da Epicuro, in cambio delle crocchette al salmone.

Ma quanto sono gli amici di Epicuro? Se lo vuoi sapere esattamente, devi chiedere a Pitagora, il gatto con tre zampe. Conosce tutti i numeri del mondo – vale a dire del quartiere: quanti gatti neri, quante gatte femmine, quanti passeri, merli, gechi e topi. Se gli si chiede quante lucertole sono passate su quel muretto nelle ultime tre ore e dieci minuti, lui lo sa, esattamente, senza ombra di dubbio, con precisione centesimale, millesimale.
Ma non lo dice.
I suoi numeri, precisi come tagliole, sono infatti un segreto accessibile a pochissimi. Fa la faccia di gatto che sa tutto, ma ripete sempre solo che tutti i gatti hanno il muso triangolare, che tutti i becchi dei merli sono triangolari, che tutte le code dei topi sono triangolari e via dicendo con i triangoli: una vera e propria fissa, ad ascoltare lui tutto il mondo – vale a dire il quartiere – è triangolare.
Insomma, come dicevo, il mio filosofo preferito è il mio gatto. È un gatto giovane, ma riflette già molto. Riflette così tanto che è difficile attirare la sua attenzione; uno può agitare cordini, fili, strisce di carta, o pantofole, ma se Epicuro riflette non si accorge di niente, tanto meno dell'assurdo sfregare di pollici e indici accompagnato da schiocchi di lingua con cui noi esseri umani immaginiamo di richiamare i gatti. Epicuro riflette quasi sempre e non parla quasi mai, per questo è molto difficile capire se è di buon umore o invece è triste. Bisogna saperne cogliere gli indizi, i segnali.
Qualche tempo fa, ad esempio, durante un violento temporale capii che Epicuro era preoccupato perché si era nascosto sotto il tappeto:
- Hai dei pensieri Epicuro?
Gli chiesi. Domanda assurda da fare a un filosofo, tanto più se gatto.
Tuttavia, la sua risposta mi lasciò senza parole:
- Spinoza è scomparso.

Chi è Spinoza? Che domande, non l'ho detto più su? È uno dei migliori amici di Epicuro ed è il gatto più gentile e pacifico del quartiere. Abita in un giardino di tulipani e non se la prende mai con nessuno, nemmeno con le mosche. Non piscia mai sulle piante, non graffia i tappeti, saluta sempre tutti, è vegetariano ed è così saggio e gentile che persino i topi gli chiedono consiglio. Un giorno, persino un avvocato si è rivolto a lui. Un avvocato in pensione, d'accordo, uno di quelli che gettano pane ai piccioni nei parchi, ma pur sempre un avvocato.
Spinoza, il gatto con gli occhiali, è amico di tutti nel quartiere e non potevo credere che qualcuno gli avesse fatto del male. Chiesi a Epicuro altre spiegazioni e in tutta risposta mi passò il suo diario degli ultimi giorni. Vi ho detto che Epicuro tiene un diario dove racconta le sue avventure?

(continua...)
Testo: Lino Graz
Illustrazione: Albert Àlvarez
CapGazette 7/2015

Chisciotte 2

Don Chisciotte e Sancio Panza visti da Albert Àlvarez
Don Chisciotte della Mancia
Secondo

Un anno dopo proponiamo il secondo paragrafo del Don Quijote e la sua corrispondete traduzione in italiano. Abbiamo calcolato che continuando così, saranno sufficienti 1.800 anni per finire di tradurlo, a meno che il traduttore, come si ripromette epicamente di fare, non smetta di fumare, sostituendo il tabacco con la traduzione ossessiva compulsiva. Non disperiamo.
[...] Es, pues, de saber, que este sobredicho hidalgo, los ratos que estaba ocioso - que eran los más del año - se daba a leer libros de caballerías con tanta afición y gusto, que olvidó casi de todo punto el ejercicio de la caza, y aun la administración de su hacienda; y llegó a tanto su curiosidad y desatino en esto, que vendió muchas hanegas de tierra de sembradura para comprar libros de caballerías en que leer; y así llevó a su casa todos cuantos pudo haber dellos; y de todos ningunos le parecían tan bien como los que compuso el famoso Feliciano de Silva: porque la claridad de su prosa, y aquellas intrincadas razones suyas, le parecían de perlas; y más cuando llegaba a leer aquellos requiebros y cartas de desafío, donde en muchas partes hallaba escrito: la razón de la sinrazón que a mi razón se hace, de tal manera mi razón enflaquece, que con razón me quejo de la vuestra fermosura, y también cuando leía: los altos cielos que de vuestra divinidad divinamente con las estrellas se fortifican, y os hacen merecedora del merecimiento que merece la vuestra grandeza.
Con estas razones perdía el pobre caballero el juicio, y desvelábase por entenderlas, y desentrañarles el sentido, que no se lo sacara, ni las entendiera el mismo Aristóteles, si resucitara para sólo ello. No estaba muy bien con las heridas que don Belianís daba y recibía porque se imaginaba que, por grandes maestros que le hubiesen curado, no dejaría de tener el rostro y todo el cuerpo lleno de cicatrices y señales. Pero con todo alababa en su autor aquel acabar su libro con la promesa de aquella inacabable aventura, y muchas veces le vino deseo de tomar la pluma, y darle fin al pie de la letra, como allí se promete; y sin duda alguna lo hiciera, y aun saliera con ello, si otros mayores y continuos pensamientos no se lo estorbaran. Tuvo muchas veces competencia con el cura de su lugar —que era hombre docto, graduado en Cigüenza— sobre cuál había sido mejor caballero: Palmerín de Ingalaterra o Amadís de Gaula; mas maese Nicolás, barbero del mesmo pueblo, decía que ninguno llegaba al Caballero del Febo, y que si alguno se le podía comparar era don Galaor, hermano de Amadís de Gaula, porque tenía muy acomodada condición para todo, que no era caballero melindroso, ni tan llorón como su hermano, y que en lo de la valentía no le iba en zaga [...]
[...] Bisogna, quindi, sapere, che questo suddetto nobiluomo, nei momenti in cui era ozioso - che erano i più dell’anno - si metteva a leggere libri di cavalleria con così tanta passione e gusto, da dimenticare quasi del tutto l’esercizio della caccia, e pure l’amministrazione della sua tenuta; e in ciò giunsero a tanto la sua curiosità e il suo sproposito, che vendette molte giornate di terra da semina per comprare libri di cavalleria da leggere; e così si portò a casa quanti di essi riuscì ad avere; e tra tutti nessuno gli pareva pari a quelli composti dal famoso Feliciano de Silva: poiché la chiarezza della sua prosa, e quei suoi intricati ragionamenti, gli parevano di perle; e più ancora quando arrivava a leggere quelle galanteria e lettere di sfida, nelle quali ovunque trovava scritto: la ragione del torto che alla mia ragione si fa, in tal modo la mia ragione indebolisce, che a ragion veduta lamento la vostra beltà, e anche quando leggeva: gli alti cieli che della vostra divinità divinamente con le stelle si fortificano, e vi fanno meritevole del merito che merita la vostra grandezza.
Con questi ragionamenti perdeva il povero cavaliere il senno, e si tormentava per capirli, e sviscerarne il senso, che non l’avrebbe svelato, né compreso Aristotele stesso, nemmeno resuscitando solo per questo. Non lo convincevano del tutto le ferite che don Belianis dava e buscava poiché immaginava che, per quanto grandi i maestri che l’avevano curato, non avrebbe certo potuto evitare di avere il viso e tutto il corpo pieni di cicatrici e segni. Ciononostante, lodava dell’autore qual suo concludere il libro con la promessa di quella interminabile avventura, e molte volte gli venne voglia di prendere la penna, e finirlo per filo e per segno, come lì si promette; e senza dubbio l’avrebbe fatto, e ci sarebbe riuscito, se altri maggiori e continui pensieri non gliel’avessero impedito. Ebbe molte volte da discutere con il curato del villaggio - che era uomo dotto, diplomato a Sigüenza - su quale fosse stato migliore cavaliere: Palmerino d’Inghilterra o Amadigi di Gaula; ma mastro Nicolás, barbiere dello stesso paese, diceva che nessuno era pari al Cavaliere del Febo, e che se qualcuno gli si poteva paragonare era don Galaorre, fratello di Amadigi di Gaulia, perché disponeva di condizione molto acconcia a tutto; che non era cavaliere sdolcinato, né lagnoso come suo fratello, e in quanto a coraggio non gli era secondo [...]
Texto: Miguel de Cervantes
Traduzione: Paolo Gravela
Disegno: Albert Àlvarez
CapGazette 6/2015