spazi Le Jardin Alchimiste

Le Jardin de l’Alchimiste
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Nella seconda metà degli anni Novanta, i paesaggisti Éric Ossart e Arnaud Maurières hanno ideato e realizzato con l’aiuto degli studenti de l’École des Jardins et du Paysage di Grasse il Giardino dell’Alchimista. Il giardino si trova a Eygalières, a pochi chilometri da Saint-Rémy-de-Provence, e appartiene alla tenuta del Mas de la Brune, una rinascimentale masseria-castello costruita nel 1572 e i cui proprietari sono dal 1994 Alain e Marie de Larouzière. Sono stati loro a commissionare il disegno di un giardino che fosse un omaggio alle credenze popolari sul potere magico delle piante e all’originario proprietario che pare fosse un appassionato d’alchimia.
Eccoci allora all’entrata del giardino, a calpestare lungo un percorso labirintico le lettere che compongono la parola Berechit che apre la Bibbia ebraica alludendo all’origine del mondo; nessun timore però, perché non siamo sulla via della perdizione, ma su quella dell’iniziazione e della preparazione che ci condurrà alla scoperta delle forze cosmiche nascoste nelle piante.
Oltrepassata la zona d'ingresso, la seconda parte del giardino è una dedica alle piante magiche, ai loro poteri sacri, spesso malefici, e al sapere contadino: “L’homme de la campagne sait qu’il vit et travaille dans un environnement parfois hostile òu le mauvais sort le guette. Il a donc un besoin pressant de faire appel à des initiés pour déchiffrer le langage incompréhensible de la Nature, se protéger du malheur et se soigner”.
Al centro di questo giardino del Giardino c’è una vigna, mediterranea per eccellenza e circondata da piante altrettanto comuni a tutto il Grand Midi e che più le sono vicine, più diventano familiari a noi uomini; agli estremi due rivoli d’acqua lo delimitano su tutta la lunghezza.
La passeggiata è il racconto del salice legato al pianeta Saturno che apporta dignità, senso morale e grandezza d’animo; del cedro, simbolo d’immortalità e incorruttibilità; del rosmarino, che protegge gli innamorati e che non deve mai mancare nelle pozioni d’amore e di lunga vita; del basilico, associato al pianeta Marte e provocatore di passioni violente. Della vigna: mangiare un acino d’uva secco il primo gennaio, ci assicurerà un anno di denaro; del timo: appenderne un mazzolino alla porta nel giorno di San Giovanni allontanerà la sfortuna; della lavanda che masticata dalla donna nell’Antica Roma prima che il marito tornasse a casa, serviva a mascherare l’alito di vino che le era proibito bere.
Poi c’è il fico, simbolo di fecondità, ma considerato pure maledetto per colpa di Giuda traditore che si dice vi si impiccò in una notte di pentimenti; l’iris, messaggero degli dei, che porta sia pace che morte; il melo che è la magia, l’aldilà e la conoscenza e che ci sarà utile se vogliamo sbarazzarci di un nemico. Il giardino custodisce inoltre l’edera, che è l’amore e che potrà tornare comoda a colei che desidera sognare il marito lontano: basterà cuocere una foglia - senza però guardarla - e poi metterla sotto il cuscino prima d’addormentarsi perché in sogno ci appaia l’amato. Infine il cipresso, albero fallico, che così slanciato aiuterà i morti ad arrivare più velocemente al cielo.
Fin qui la conoscenza è, volendolo, a portata di tutti, ora però entriamo nel giardino degli eletti, degli alchimisti, di coloro che in Occidente, dal XIIº al XVIIIº secolo, si dedicarono a quella scienza occulta e a quei principi esoterici che avrebbero permesso loro, purificati nel corpo e nell'anima, di trovare la pietra filosofale e di trasformare il piombo in oro. Se nel giardino delle piante magiche potevamo a nostra scelta avvicinarci a una quercia, al pino d’Aleppo o a una viola, ora il percorso si fa univoco e ci impone di attraversare le tre tappe obbligate e codificate della ricerca alchemica.
La prima è quella dell’Oevre au Noir, della prima età materiale della vita, dove vanno separati il puro e l’impuro. Il sentiero, costruito ad angoli retti, è governato da Saturno che dal buio ci porterà piano piano alla luce; qui il colore dominante è il nero, lo si vede nell’allineamento delle 11 piante di aeonium, originaria delle isole Canarie, che è di un colore intenso, cupo, violaceo; il numero 11 è scelto come simbolo della conoscenza, del piombo e del sale.
È la luna invece che ci accompagna insieme al mercurio nell’Oeuvre au Blanc, di forme sensuali e circolari, una tentazione: potremmo per sempre rimanere qui a girare intorno e a godere delle gioie terrestri e della seduzione dei 450 roseti bianchi e di quella luna che la notte si specchia nella vasca rotonda, d’acqua stagnante ma limpida, circondata da pietra e marmo di un bianco brillante.
L’intelligenza ci avrà aiutato a superare il giardino nero, ma ora è giunto il momento di usare anche il cuore per non soccombere al fascino di tanto chiarore e poter fare finalmente ingresso all’Oeuvre au Rouge, o Gran Opera, governata dal Sole e dal numero 33 che allude all’universale e dove lo zolfo, elemento maschile e stabile, si è già unito al mercurio, elemento femminile e instabile. È un giardino luminoso e aperto quest’ultimo, rose rosse ovunque, alcune di loro disposte in cerchio attorno alla fontana con base a stella a sei punte, ovvero quell’esagono con cui gli alchimisti hanno sempre rappresentato la pietra filosofale; l’unica vasca questa dove c’è vita, quella di trentatrè pesci, altrettanto rossi.
Infine il melograno, simbolo dell’infinito e del divino. E alcune panchine dove sederci, eventualmente riflettere.
All’uscita un saluto: “Nous simples jardiniers avons cédé au plaisir de vous ouvrir les yeux. Un sourire aux lèvres ou le regard sévère… Vous avez changé.”


Text&Foto: N. De Boni ©CAPgazette
Mar 2014