La fine

La fine

Quando Beppo Sansilvestro udì le campane, non essendo ancora mezzogiorno, smise subito di arare e tese l’orecchio ai rintocchi. In effetti suonavano a morto.
Quando Silvano Saverio, commesso viaggiatore di bottoni, passò davanti al portoncino dietro la chiesa, Don Mauro aveva appena attaccato l’epigrafe sotto la Madonna dei Dolori, ma siccome il Saverio non era del posto e non sapeva che così si annunciassero i defunti in paese, non tirò dritto e si avvicinò incuriosito a leggere l’avviso.
Quando Maria Garvatella si fermò non capì un bel niente. Non sapeva chi veramente fosse quel Giancarlo Maria Barbarese di 90 anni che una fotografia piccola piccola mostrava da giovanotto, con baffi sottili e uniforme militare.
Quando Gennaro Baruzzo, barbiere, la raggiunse, dedussero tutti insieme dall’indirizzo che quello non poteva che essere Cacà, il fabbro ferraio.
Quando passò il ragioniere Gonzaga Gazzarrini con sua moglie donna Mariolina a braccetto, lo confermarono. Non per niente lei era un’informatissima figlia di notaio, nonché parente lontana della vedova.
Ad essere sinceri, nessuno sapeva con certezza se Cacà e il defunto Barbarese fossero la medesima persona.

Solo i più vecchi del paese se la ricordavano quella storia accaduta tanti anni prima.
Tale Giancarlo Maria Barbarese, ingegnere di opere civili venuto da Milano in occasione di importanti scavi nella Magna Grecia, era comparso in quelle zone, mentre cercava un luogo dove riposarsi. Di lavoro ne aveva fatto parecchio, tant’è che aveva appena fatto una magnifica scoperta archeologica di cui tutti i giornali dell’epoca parlarono. Certo è che alla fine a ben altro che riposarsi si dedicò: incapace di starsene con le mani in mano, non smise di ricercare e scavare finché non sposò Evangelia Negri.
Era costei la figlia ancor zitella del farmacista Antonino Negri, ovvero l’ereditiera di una considerevole fortuna che proveniva dalla famiglia dalla defunta sposa del Negri. La storia si ripeteva.

Il matrimonio Barbarese Negri non fu mai benedetto da prole, sarà stato molto probabilmente questo il motivo principale per cui la povera Evangelia era precipitata in un’esistenza cupa e soffocante. Tutt’altro successe al Barbarese, poiché una volta capito che la vita gli risparmiava la responsabilità di diventare padre, si ributtò freneticamente in questioni di scavi e musei. In continuo andirivieni tra gli uni e gli altri, su e giù per la penisola, il Signor Giancarlo non disdegnava fermate intermedie in letti e case di dubbiosa reputazione, anzi di indubbia cattiva reputazione. Evangelia taceva e sopportava con rassegnazione le offese e faceva finta di niente quando incrociava per strada quelle pettegole.
Un bel giorno, e quello seguente, e quello dopo ancora, il Barbarese sparì nel nulla. O meglio: non fece più ritorno. Si diceva, chi per scherzo e chi sul serio, che avesse trovato il più grande tesoro del Mediterraneo, ma nessuno seppe mai né dove né quando. Man mano che passavano i giorni, i pettegolezzi più maligni svanirono, ed Evangelia abbandonò l’attesa e i ricordi; ritornò zitella.

Vent’anni dopo, qualcuno le bussò alla porta, entrò e si sedette nella poltrona del salotto, senza salutarla né dire niente. Era un uomo vecchio, magro, dallo sguardo diffidente, dal viso stanco. Evangelia lo accolse, lo tenne per sé e disse a tutti che suo marito era infine arrivato da una lunga missione in terre lontane. Quel vecchio di lì a poco cominciò a fare il ferraio. Se quello fosse stato davvero il Barbarese o no, per la verità una certa sua aria ce l’aveva, nessuno lo seppe mai con certezza.
Tutti si afflissero per il decesso del Barbarese, ché in fondo una celebrità come lui quel posto non l’aveva mai avuta e in più quella storia dell’identità del vecchio dava ancora di che parlare e non era poco in tempi in cui non succedeva più nulla, in anni di noia.

Solo uno dei paesani si sarebbe assai rallegrato per quella morte, se si fosse trovato lì con loro e con Don Mauro. Si chiamava Giovanni Becaro e faceva il veterinario a Matera: lui sì che era stato sempre perdutamente innamorato di Evangelia. Fin da fanciullo, quando erano vicini di casa, le andava dietro tutto il giorno, ogni giorno, su e giù dovunque lei andasse, lei però non lo aveva mai degnato della minima attenzione. Quando alcuni anni dopo comparve l'ingegner Barbarese, con quel suo fare da gran signore del Nord, Giovanni capì che era arrivato il momento di metterci una pietra sopra, fu un colpo duro. Tuttavia, siccome il primo amore non si scorda mai, appena venne a sapere che il Barbarese era scomparso, da gentiluomo qual era, fece passare un po’ di tempo, per prudenza, e poi decise di provare di nuovo a convincere Evangelia. Un giorno le si presentò con una scatola di cioccolatini comprati a Napoli e benedetti da San Gennaro; un altro le portò un mazzolino di occhietti della Madonna raccolti sulla strada di Ferrandina, di ritorno dalla casa dello zio Pasqualino, dove era stato a curargli la mucca migliore. Quei fiori però Evangelia li aveva messi sotto la fotografia del marito scomparso. Insomma, tutti i suoi tentativi andarono nuovamente a vuoto e in giro non lo si vide più.

Ma rieccolo infine: dietro la bara, che fosse quella del fabbro o dell'ingegnere ormai poco importava, con Evangelia di nero vestita c’era anche lui, il veterinario Becaro. E con lui Beppo Sansilvestro, Mariolina e il ragioniere Gonzaga Gazzarini, Don Mauro, Maria Garvatella, il barbiere Gennaro Baruzzo e persino il commesso viaggiatore, desideroso pure lui di far parte di una storia appena narratagli.


Text: © Sílvia Gasull, Pedro Ribosa, Josep Tuñi
Foto: dipinto di Giovanni Fattori
CapGazette Ottobre 2015

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