Gli occhiali del Tiziano

Gli occhiali del Tiziano.
Il senso della vista, e di una visita, al Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore


Quando nel 1352 il pittore Tommaso da Modena affresca la Sala del Capitolo del convento di San Nicolò a Treviso, non sa che nel ritrarre Ugo di Provenza, primo cardinale dell’ordine domenicano, e Nicolò di Rouen sta lasciando a noi le immagini più antiche di un paio di occhiali e di una lente di ingrandimento.
La data di questo suo affresco popolato da quaranta illustri domenicani impegnati nello studio è considerata utilissima per l’anagrafe dell’occhiale, visto che ancora ne manca una che stabilisca con più precisione quando veramente apparve questo strumento correttivo della vista. Non c’è nemmeno un nome a cui attribuire la sua invenzione, ma sappiamo, questo sì, che con i termini di roidi da ogli e di lapides ad legendum gli occhiali e le lenti d’ingrandimento fecero la loro comparsa nei Capitolari delle Arti Veneziane. Correva l’anno 1300 e i Capitolari erano un documento in cui venivano raccolti i regolamenti da applicare alle attività delle corporazioni artigianali; alla voce ‘Cristalleri’ veniva aggiunta in quell’occasione una nota nella quale si emanava il divieto di contraffazione di cristalli e lenti da vista. Tra le tante ipotesi, quella che sembra oggi la più attendibile indica infatti Venezia come patria dell’occhiale; ciò non stupisce affatto se si considera l’intensa sua vita commerciale e mercantile nei secoli XIII e XIV. Tra l’altro, proprio alcuni anni prima dell’inserimento di quella nuova voce nei Capitolari, gli oramai numerosi vetrai della città erano stati obbligati a trasferirsi tutti nell’isola di Murano. Questo provvedimento mirava indubbiamente alla tutela dei cittadini, poiché la presenza così fitta di fabbriche iniziava a diventare un pericolo per quel centro densamente abitato. Tuttavia con il trasferimento dei vetrai ci si preoccupava anche di salvaguardare le recenti invenzioni: isolando le nuove creazioni e i loro autori, entrambi venivano sottratti a un rapporto diretto e costante con i mercanti e navigatori che dalla Serenissima salpavano alla ricerca di nuove rotte commerciali.
Con più certezza conosciamo invece l’origine della parola ‘occhiale’ che deriva dall’antico ocularium, quel foro dell’elmo che permetteva al guerriero di vedere e che in certe occasioni veniva ricoperto da cristalli protettivi.
Intesi a seconda dell’epoca storica e della regione geografica come strumento per migliorare la vista o riposarla, come simbolo d’appartenenza a una classe sociale, o ancora come accessorio indispensabile per la protezione degli occhi dal sole o dal freddo e dal vento, la lunga storia dei nostri occhiali è insolita e affascinante.
Per approfondire questi primi cenni storici e scoprirne l'evoluzione il luogo perfetto è il Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore, il cui percorso espositivo tiene conto dei molteplici usi, passati e presenti (e in alcuni casi davvero sorprendenti) di questo oggetto.
Pieve di Cadore è un paese della provincia di Belluno, assai bello per le Dolomiti che vi si affacciano e forse già noto anche a chi non è un appassionato di montagna per essere la località d’origine di Tiziano Vecellio. Proprio a pochi passi dal palazzo in vetro e acciaio che dal 2007 è la nuova sede del Museo dell’Occhiale, si può visitare ancora la casa del pittore. Il Tiziano vi nacque verso la fine del ‘400 (probabilmente tra il 1483 e il 1485) e vi rimase fino a quand’era ragazzino, dato che già nel 1508-1509 lo troviamo a Venezia, impegnato nella pittura del Fondaco dei Tedeschi a Rialto.
Dopo che Gutenberg inventò per l’Occidente la stampa a caratteri mobili, fu proprio il Quattrocento il secolo in cui la grande richiesta di occhiali portò a diffondere la loro produzione ben oltre la città lagunare, in giro per tutta l’Europa.
Negli anni in cui Tiziano nasceva, ma questa volta nella città di Firenze, Domenico Ghirlandaio ritraeva quel santo che un giorno sarebbe diventato il protettore degli occhialai. Si trattava di San Girolamo e il pittore lo dipinse su incarico della nobile famiglia di Amerigo Vespucci, raffigurandolo seduto dentro il suo studio e appoggiato a uno scrittoio dal quale pendono delle forbici, due calamai e un paio di occhiali a perno. A proposito di santi protettori, insieme a diverse raffigurazioni votive e amuleti, all’interno del museo di Pieve di Cadore è esposta una serie di ex voto dedicati a Santa Lucia, la santa protettrice della vista che secondo l'iconografia ci offre su un vassoio gli occhi che si sarebbe lei stessa tolta per darli in dono a quel pretendente pagano che si rifiutò di sposare.
Il Museo dell’Occhiale propone nel suo insieme un itinerario storico dell’oggetto occhiale, ma non solo: nelle sale di Palazzo Cosmo si sviluppa infatti un percorso che ci aiuta anche a riflettere sul senso della vista e del vedere e a ricordare studiosi, filosofi, pittori e scienziati che attraverso i secoli hanno sperimentato le potenzialità reali e fisiologiche, ma anche simboliche, religiose e filosofiche degli occhi e del guardare. Dagli studi di ottica di Avicenna e di Alhazen, il cui lavoro fu indispensabile per la creazione delle lenti d’ingrandimento, o del francescano Ruggero Bacon anche detto Doctor Mirabilis fino a giungere alle osservazioni sull’invisibile e sul magico del Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium di Giovanni Battista Della Porta, o a quelle di Galileo e Leonardo e più tardi di Kant.
Sul dono della vista ripetiamo qui una riflessione proprio come l'abbiamo letta al Museo: "In casi abbastanza numerosi e in culture diverse, le persone affette da queste menomazioni venivano (e in parte lo sono ancora) destinate a ruoli particolari e significativi: poeti di tradizione orale, cantastorie, musicisti o, come accade nei paesi islamici, recitatori coranici. [...] Una sorte non molto migliore, almeno fin prima dell'invenzione degli occhiali correttivi, toccava a coloro che erano affetti da accentuata miopia, in quanto portatori di un difetto che ne condizionava la vita. Erano visti con sospetto e destinati ad attività che prevedevano una visione da vicino".
La collezione più importante del museo è stata acquisita nel 1987 e contiene 1600 pezzi raccolti dall’ottico belga Georges Bodart. In essa sono presenti dei veri e propri gioielli che già vennero ammirati nel 1900 in occasione dell’esposizione universale di Parigi; a quei tempi i pezzi appartenevano alla parigina Madame Alfred Heymann, autrice nel 1911 del testo Lunettes et lorgnettes de jadis. Oltre alla collezione di Bodart, troviamo quelle di Enrico Lotto, medico e studioso di storia dell’occhiale, dell’antiquario Luca Moioli e dell’ottico parigino Bernard Weiss. Ma la serie di oggetti e documenti continua ad arricchirsi anno dopo anno di occhiali a snodo, a perno, a arco; di fassamani, di canocchiali e lenti di ingrandimento; di astucci; di ventagli e ciondoli muniti di monocoli; di pince-nez e occhiali da parrucca; di monocoli e binocoli; di occhiali protettivi, da sole, da automobilismo, da motociclismo e da sciatore; di strumenti ottici e occhi artificiali…
Una diversa sezione del museo è dedicata alla storia locale dell’occhialeria, a partire dalla prima fabbrica che fu aperta nel 1878. Oggi come oggi la filiera degli occhiali del Cadore copre circa l’80% della produzione del territorio nazionale, una cifra ancor più significativa se letta a livello internazionale, dato che l’Italia è il primo produttore al mondo di occhiali. Ora sembra strano che in luoghi così appartati rispetto ai fulcri commerciali e produttivi d’Italia si sia sviluppata una filiera produttiva di queste dimensioni, ma in realtà a fine Ottocento fu proprio questa particolare posizione geografica a renderlo un posto privilegiato per la nascita dell’industria dell’occhiale. Ciò che questo territorio offriva rispetto ad altri erano i corsi d’acqua, in altre parole preziosa energia idraulica e una manodopera a costi bassi che, essendosi ‘ben allenata’ nel settore dell’agricoltura montana e della raccolta e lavorazione del legname, era già abituata a ritmi e a lavori piuttosto duri.
E per finire eccovi alcune curiosità e precisazioni, souvenir di questa nostra visita.
I presbiti furono i primi a poter godere appieno dell’utilità degli occhiali, infatti le prime lenti che correggevano questo difetto risalgono addirittura al 1280, mentre i miopi dovettero attendere altri due secoli prima di poter vedere anche da lontano; molto probabilmente ciò è dovuto al fatto che gli occhiali furono inizialmente usati all’interno dei conventi da coloro che si dedicavano allo studio, alla scrittura e riscrittura di testi sacri e non.
Le stanghette laterali degli occhiali vennero inventate agli inizi del Settecento, quindi piuttosto tardi rispetto all'occhiale, prima d'allora, sopra il naso, furono acrobazie e giochi d'equilibrio; l'astuccio sembra invece che abbia accompagnato l'occhiale fin quasi dalla nascita, il museo ne possiede una vasta e varia collezione: in pelle, in legno dipinto, in filigrana, in avorio e oro...
Gli occhiali 'alla Goldoni', risalenti alla metà del '700 e tra i primi muniti di stanghette, sono invece contraddistinti da parasoli laterali in seta per la protezione dai raggi obliqui del sole e possiedono delle lenti di un verde scuro; assomigliano dunque per queste due caratteristiche a quelli 'a fessura' già usati dagli eschimesi. Corre voce che si chiamino così perché il Goldoni era solito usarli.
Sempre alla metà del '700 risale l'uso dell'occhiale come accessorio di moda: per la prima volta tra la borghesia e l'aristocrazia soprattutto francesi è più importante che l'occhiale sia visto piuttosto che la vista grazie all'occhiale ed è così che l'oggetto diventa sempre più prezioso, che viene abbellito e poi sempre più esibito, basti pensare ai fassamani e agli occhiali a ciondolo.
Sebbene il pittore giapponese Hokusai ci abbia lasciato nei suoi disegni di fine Settecento e inizi Ottocento delle splendide testimonianze di occhiali, per concludere vale forse la pena di ricordare che alcune lettere dei primi missionari in Asia inducono a pensare che siano stati proprio i religiosi occidentali a diffondere in Oriente l'arte della lavorazione delle lenti in vetro e che probabilmente non furono i cinesi gli autori della formidabile invenzione a cui è dedicato quest'imperdibile museo.

Text: Nicoletta De Boni © CAP Gazette ⎜Ottobre 2014

Foto 1-5 e 8, courtesy of Museo dell'Occhiale di Pieve di Cadore (Belluno).
Foto 1: Occhiale cinese in ora e giada, fine XVIIIº sec.; Foto 2: Occhiali alla Goldoni, XVIIIº sec.; Foto 3, 4 e 5: Museo dell'Occhiale di Pieve di Cadore; Foto 6: il Tiziano nella piazza di Pieve di Cadore; Foto 7: Pipa in schiuma d'avorio con testa di donna, Francia XXº sec.; Foto 7: Litografia di F. Billy, Francia 1820; Foto 8: Fassamano con orologio, XIX sec. .