Elena







Elena
Un racconto di
Amata Brancaleone
Prima parte

Non risponde nemmeno al telefono in ufficio. Ma quante volte gli ho telefonato in quest’ultima ora? Undici? Certo, sono troppe. Sto davvero rischiando. Ma non ce la faccio a smettere. Non c’è scusa possibile. Alle 15 la pausa pranzo è già finita da più di mezz’ora. Dovrebbe essere tornato in ufficio. Dovrebbe rispondere. Dovrebbe essere raggiungibile! Ma niente, solo silenzio. Ok, ok, basta! Basta! Devo saper giocare bene le mie carte. E poi, in realtà chi perde di più? Anzi, chi vince di più in questa situazione? Allora, quindi, smettila di telefonargli, “piccola pazza”. Adesso dovrò chiamare a casa e chiedere a quella deficiente di venire a prendermi in questura - pensò Elena.

Quella mattina era andata un po' oltre, il motorino rubato a scuola, la droga che per fortuna avevano consegnato prima che i poliziotti li fermassero… Ora doveva pensare velocemente a cosa raccontare per tirarsi fuori come tante altre volte dai problemi in cui si cacciava, uno dopo l’altro. Comunque con la sua capacità di mentire, di manipolare, d'ingannare, di sedurre, c'era sempre riuscita.

Il telefono! È lui. Chiama dal cellulare. Come mai?…
- Pronto? Ciao, finalmente. …. Undici? Non è stata colpa mia. Dimmi piuttosto perché non rispondevi. Evidentemente avevo bisogno di parlarti, no? Dovevo dirti una cosa importante… come?...

Per fortuna l’urto non aveva avuto gravi conseguenze: alcune ammaccature e un braccio al collo per un paio di settimane.
Mentre aspettava che Chiara lo venisse a prendere, cercava d’allontanarsi dalle sue preoccupazioni leggendo un articolo di viaggi. Ma la conversazione tra due donne sedute accanto a lui attirò la sua attenzione.
- Povera donna. La figlia è morta da una settimana, ma lei è tornata a visitarla farle visita come se fosse ancora in coma.
- È impazzita, poveretta... La perdita d’una figlia sedicenne è dev’essere terribile... da impazzire.
E non era forse “da impazzire” anche la presenza d’una figlia manipolatrice, egoista e aguzzina? Pensò Massimo tornando in sé. Non negava la sua responsabilità, o meglio, la loro responsabilità: lui e Chiara avevano viziato Elena fin da molto piccola, concedendole tutti i suoi capricci, per quanto assurdi fossero. Come quando, a dieci anni, volle farsi dipingere la stanza color rosa (mobili inclusi), ma un mese dopo si stufò e, in risposta al loro “educativo” rifiuto, sporcò tutto con uno spray nero.
Era una pessima studentessa, anche se dotata d’una perversa intelligenza che sapeva perfettamente utilizzare per ottenere qualsiasi cosa volesse, soprattutto perché trovava sempre i punti deboli delle persone. E nel caso di Massimo ce n’era uno particolarmente debole.
- Quando è cominciato il suo cambiamento? Come mai siamo arrivati a questa situazione?
Si domandò come tante altre volte.
Ma in quel momento, forse per l'idea della morte, che aveva sentito così vicina e che adesso gli ricordavano le donne che chiacchieravano, le sue domande avevano un'intensità diversa.
- È possibile che non riesca a ricordarla piccola e dolce com'è stata una volta? Fino a quattro anni? Sarà stato quel primo trasloco a farla cambiare? La mancanza dei nonni, dei cugini, della casa grande, spaziosa, dove giocava felice e tranquilla?
Eh sì, la vita era cambiata per tutti e tre. La vita in città, le nuove responsabilità nella ditta, Chiara che non aveva trovato lavoro subito e si era dedicata per intero a Elena come cercando di compensare tutte le mancanze.
La piccola era graziosa, parlava come se fosse più grande, e questo richiamava l'attenzione di chi la conosceva. Tuttavia a scuola, anche se si adattò presto, cominciò ad avere atteggiamenti che a metà corso spinsero la maestra a chiamarli per metterli al corrente. Questo li colse di sorpresa e nessuno dei due accettò di buon grado le raccomandazioni. Loro non credevano che a Elena occorressero limiti, era così buona, non aveva quasi mai avuto bisogno di un "no" secco, accettava senza discussioni le loro richieste, era simpatica, dolce.
Tutto questo si dissero allora. E ancora, due anni dopo, non accettarono più di un primo incontro con la psicologa della scuola. Erano convinti: la causa era il trasloco e, con il tempo, tutto si sarebbe aggiustato. Purtroppo il tempo non fece altro che confermare che in quella simpatica, dolce, bambina c'era già il germe dell'adolescente che oggi li faceva impazzire.
E adesso, seduto su quella panca in ospedale lui si stava domandando, con la testa tra le mani, tante, troppe cose.

Chiara guardava crescere la torta nel forno. L’aveva fatta per Elena, sua figlia, che ne aveva chiesta una per quel giorno. Se non l'avesse fatta, avrebbe certo combinato un guaio… come d’altronde aveva appena fatto. Le aveva telefonato dalla stazione di polizia, dove era stata portata dopo che due poliziotti l’avevano “vista” con un amico su una motocicletta che non era loro. “Ma mamma, io non lo sapevo! Gianni è uno stronzo e mi aveva detto che era di suo fratello e che lui poteva già guidare!”. Difficile crederle. Per fortuna, i poliziotti sì che ci avevano creduto e l’avevano portata a scuola subito dopo la telefonata. “Sua figlia non c'entra niente, signora, ma crediamo che debba sapere che Elena non era a scuola e può essere pericoloso”. “Grazie mille”, aveva detto lei. Come spiegare al poliziotto che a volte pensava che, se la figlia non fosse ritornata, né a Massimo né a lei stessa in fondo…
“Elena non è la stessa figlia che avevo qualche anno fa”, pensò Chiara mentre lavava i piatti, “cosa abbiamo fatto di male Massimo e io?” Massimo, suo marito, aveva viziato Elena, ma non ne parlavano mai. “Forse è arrivato davvero il momento di parlargliene”. All’improvviso pensò che era strano che Massimo non l’avesse già chiamata, era un po’ tardi e, quando usciva, le telefonava sempre. “Qualche imprevisto”, si disse, “ma, se arriva in ritardo a scuola, Elena si seccherà e….”. Elena, Elena... Bisognava sempre pensare a cosa sarebbe piaciuto a Elena, a cosa avrebbe voluto Elena…
Chiara si guardò nello specchio. Riconosceva ancora sul suo volto la bellezza di alcuni anni prima, quando era giovane e poteva godersi la vita. Pensò a se stessa quando aveva l’età di Elena. Allora aveva ancora i modi di una ragazzina ricca che doveva sposarsi con qualche cretino ricco. Sua madre, che l'aveva voluta solo per trovarle un marito, le diceva sempre come camminare, come mangiare, come parlare e come ridere come… una… signorina. Diciamo così. Ancora oggi, dopo più di quaranta anni, si correggeva stizzita quando prendeva il coltello da carne per tagliare il pesce. Sua madre, sempre seria, sempre severa. Chiara non ricordava le avesse mai detto un semplice “ti voglio bene”. Amava solo i suoi tre maschi, morti prima della “tua nascita”, per cui vestiva sempre il lutto. Forse proprio per quella ragione era fuggita quando aveva 18 anni con i soldi che aveva risparmiato (e non erano pochi) per vivere la vita a modo suo: viaggiare con uno zaino per compagno, il mondo ai suoi piedi, parlare lingue straniere subito dopo averle sentite, sgrammaticate, vestire tutti i colori che sua madre non le permetteva di mettere. Il paradiso per una ragazzina come lei, che non aveva avuto che regole…
La sorpresa venne anni dopo la sua fuga, quando sua madre morì all’improvviso e un avvocato fece l’impossibile per trovarla (abitava in un quartiere periferico di una città periferica in un paese periferico) per dirle che tutti i beni adesso erano suoi. Aveva sempre creduto che sua mamma avesse deciso di diseredarla e invece, ad appena 30 anni, aveva una fortuna tutta sua. Così, dopo aver venduto le fabbriche e le aziende rurali della famiglia, Chiara se ne tornò “quasi a casa”, quasi perché non tornò al paesello di campagna, ma in centro città, di una città importante (e nel suo paese benestante).
Pensava di vivere da sola, come sempre, ma un po’ per caso Massimo era già entrato nella sua vita in un viaggio recente. Aveva la sua stessa età, e come lei veniva da un piccolo paese e sapeva come era la vita in campagna. Era tranquillo e gli prometteva la stabilità di cui lei aveva bisogno. Sapeva che non era innamorata, ma quello era un amore maturo, diverso da tutti quelli che aveva avuto fino ad allora. Non c’era passione, ma c’era un amore senza esigenze, semplice e puro. Si erano sposati pochi mesi dopo essersi conosciuti, in una piccola chiesa in cui nessuno si era fatto vivo per vedere Chiara che “si maritava”. Lei aveva detto a Massimo che i suoi parenti erano morti, che non aveva nessuno nella vita tranne lui.

La vita scorreva tranquilla fino al momento in cui lei si accorse di non avere il ciclo da alcuni mesi. “Sei troppo giovane per la menopausa, Chiara. Sei incinta”. A 39 anni, fu una bella sorpresa per una coppia che non si aspettava dei figli. Pensarono che quella piccolina sarebbe stata la ragazza più felice del mondo. Elena era una bambina così carina, una bambola con gli occhi azzurri, come quelli di Chiara. Lei si era ripromessa che sua figlia non sarebbe stata mai infelice, che lei sarebbe stata una madre come quella che non aveva avuto.

“Forse ho voluto troppo. Forse abbiamo fatto troppo. Forse è già tardi”, pensava mentre spegneva il forno. Come riavere indietro la sua dolce bambina, dopo tante minacce? Quando Elena aveva trovato le fotografie, non pensò che sarebbe stato un problema. Aveva mille fotografie nascoste in una scatola. Fotografie di lei in Spagna, negli Stati Uniti, in Africa... Il suo segreto raccontato in immagini. Come è naturale, Elena aveva domandato cosa faceva sua mamma, così giovane e da sola, sulla Torre Eiffel e in altri mille posti. Era accaduto quando Chiara credeva ancora di potersi fidare di sua figlia, così raccontò la verità per la prima volta nella sua vita e le domandò di non dirlo a nessuno. Come poteva immaginare che quella confessione sarebbe diventata una minaccia capace di fare male a Massimo e di distruggere tutto quello che avevano costruito?
All’improvviso, una chiamata. “Pronto. Ciao, caro, dove sei? Vieni già con Elena?... Come? Prendo la macchina subito”. Prima di uscire, Chiara ha ancora un pensiero per Elena. “Credo che oggi non potrà mangiare la torta ancora calda”.

(continua)
Testo: Amata Brancaleone (Carmen Rosúa, Esther Artero, Irene Acedo, Viviana Baró)
Foto: Profilo a Rotterdam.
A cura di: Paolo Gravela
CapGazette 2015

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