Elena. Seconda parte







Elena
Un racconto di
Amata Brancaleone
Seconda parte

Dopo anni di sofferenze lui era arrivato ad avere un equilibrio e, cosa più importante, era riuscito a salvare quella sua piccola famiglia, quello scudo protettore che, senza alcun dubbio, amava più di ogni altra cosa.
Amava quella piccola pazza con tutto il suo cuore e si accusava di non essere riuscito a farle da padre. Amava Chiara con quel tranquillo sentimento che lei accettava senza chiedere di più, senza esigenze, senza rimproveri, ormai, dopo più di vent'anni insieme, erano una coppia affiatata.
Lei era entrata nella sua vita quando lui aveva già più di quaranta anni. L'aveva conosciuta in una sosta di un viaggio d’affari, a casa di amici di entrambi, e quasi subito aveva capito che questo incontro lo avrebbe spinto a dare una svolta alla sua vita, fino ad allora priva di una meta personale chiara.
Chiara con quella bellezza un po’ androgina, quell’ampio sorriso, gli occhi che avevano visto tanto mondo, quella vita libera, quell’atteggiamento mondano, indipendente... E tante altre cose che in poco tempo imparò da lei, quel gusto per la musica, la letteratura, il cinema, il teatro, tutti gusti simili ai suoi. Chiara e lui insieme. Adesso tutto sarà più facile – aveva pensato, allora.
Purtroppo facile non era stato.
Perché certe cose facili non sono.
Nato e cresciuto in campagna, unico maschio nel bel mezzo di quattro femmine, due più grandi da imitare, due più piccole con cui giocare, lui era sempre stato serio, responsabile e ligio a compiere i comandamenti familiari: bravissimo a scuola, al liceo e all’università, aveva preso la laurea in Economia e Ingegneria Agraria a Bologna come aveva voluto suo padre, che sognava che il suo unico figlio maschio trasformasse la piccola azienda famigliare in qualcosa d’importante.
Però quello che Massimo voleva era ben altro. Voleva andarsene via. Voleva vivere lontano. Voleva vivere la sua vita senza tanti occhi su di lui. Voleva soprattutto non essere il protagonista di quel programma paterno.
Tuttavia, fece tutto quello che da lui ci si aspettava.
Tutto tranne sposarsi. E questo divenne motivo di una lotta interiore continua e difficile.
Una lotta che durò finché gli anni non lo misero definitivamente e violentemente a confronto con quell’identità che aveva sempre negato a se stesso e che finalmente veniva fuori, e fuori da ogni dubbio. Non è che lui si fosse liberato davvero del tutto dal peso delle regole familiari e sociali. Continuamente attento a fingere, a cercare di stare sempre in gruppo, a non farsi vedere in compagnia di qualche amico “speciale” da chi avrebbe potuto raccontare qualcosa in paese.

Lei sarà già in camino – si disse Massimo pensando a Chiara – devo assolutamente parlare con lei. Non ce la faccio più. Lei mi aiuterà, ne sono sicuro, sarà difficile, lo so, ma sono sicuro che insieme sarà più facile. Più facile per me, che ho portato questa peso per tanti anni. No, non glielo posso dire, sono un egoista. Però, come andare avanti con i ricatti di Elena? È lei a ricattarmi in realtà, grazie a quei messaggi che ha scoperto sul mio telefonino o sono io che, al solo pensiero che lei sappia, che parli con Chiara, con tutti, accetto ogni suo capriccio?
Lo psicoanalista, parlando di Elena, gli aveva fatto capire parecchie cose. Cose come la necessità nell’adolescenza di cercare l'identificazione femminile e la ricerca a quell’età della figura maschile nel padre e via dicendo. Questa colpa lo strozzava, lo avrebbe strozzato anche se Elena non si fosse accorta della sua omosessualità?
Da molti anni lui era in psicoterapia. All’inizio di nascosto da Chiara, ma dopo un po' di tempo, una sera che parlavano della famiglia, di quel padre padrone che gli era toccato, aveva deciso di approfittare del momento per dirle che a volte aveva pensato di andarci. E Chiara l’aveva incoraggiato, dicendo che anche lei ne avrebbe avuto bisogno.
L'arrivo di Chiara interruppe le sue riflessioni, i suoi ricordi. Il suo abbraccio lo confortò. Ebbe la sensazione di lasciarsi portare fino alla macchina per mano, come un bambino indifeso. Sulla strada di casa la mano destra di lei carezzava ogni tanto i suoi capelli, la sua mano. La quinta sinfonia di Mahler riempiva il silenzio.

- Meno male, caro, che l’incidente è stato lieve – disse Chiara mentre girava la chiave nella serratura per entrare. Ma credo che ti dovresti riposare per qualche giorno e non andare a lavorare.
- Hai ragione. Resterò a casa almeno domani. Anche perché... ho bisogno di parlare con te tranquillamente, senza la presenza d’Elena. Dobbiamo parlare di questa famiglia, non credi?
- Certo. Eccome se dobbiamo!
Fu una lunga notte. Contravvenendo alla loro prima intenzione di aspettare l’indomani per parlare, ormai soli nella stanza, non poterono evitare che uscisse a fiotti quel magma di sentimenti, paure, domande, segreti impossibili da celare oltre.
A cosa era dovuto quel loro evidente fallimento nell'educazione di Elena? Non si poteva negare che tutti e due l’avevano viziata troppo e, in questo senso, si sentivano in colpa. Un sentimento che, però, andava più in là: la mancanza di sincerità tra loro.
Chiara riconobbe di aver nascosto a Massimo parte del suo passato. Non gli aveva mai parlato di quella sua infanzia e adolescenza vissute nell’abbondanza economica, ma anche nella più assoluta assenza d’amore materno. Questo, insieme alla soffocante rigidità di sua madre, l’aveva spinta a fuggire da casa a 18 anni in cerca dell'agognata libertà. Ed era successo quello che era successo. Per questo aveva voluto cancellare tutta quella prima parte della sua vita, proprio come si vuole dimenticare un incubo, ed era stata questa la ragione per cui non gli aveva mai raccontato niente. Semplicemente aveva deciso di fare tavola rasa. Poi, con Elena, per quell' “effetto pendolo” che tante volte segna i nostri atti, aveva agito in un modo del tutto contrario a quello di sua madre, senza accorgersi delle disastrose conseguenze che ne potevano derivare.
Per Massimo parlare per la prima volta con Chiara della sua omosessualità fu una vera liberazione. In fondo intuiva che lei lo sospettasse, come di fatto gli venne confermato. Tuttavia, era stato più comodo per entrambi far finta di niente affinché si mantenesse incolume quella struttura che avevano costruito. Riconosceva la sua codardia nel sottomettersi ai ricatti d’Elena. Sarebbe stato meglio confessare tutto a Chiara quando avevano cominciato, ma, come tante altre volte nella sua vita, si lasciò portare dalla paura, dai dubbi, dall’insicurezza.
Il cielo cominciava a imbiancarsi quando decisero di riposarsi al meno per un paio d’ore. Li aspettava un giorno intenso. Non sarebbe stato facile parlare con Elena e convincerla della necessità di fare terapia.

Elena guardò la sua camera per l’ultima volta. Le piaceva tanto, tutto in ordine. Un vero peccato non rivederla mai più... “È l’unica scelta”, disse a sé stessa. “Non mi lasciano alternative”.
Quando era tornata da scuola non pensava nemmeno che sua madre e suo padre sarebbero stati insieme, aspettandola per “parlare”. Parlare? Era stato un monologo insopportabile! Sua madre, che credeva mezzo stupida, era diventata all’improvviso forte, coraggiosa. Abbastanza coraggiosa da dirle che la situazione non poteva continuare come era stata finora. Abbastanza forte per dirle che sapeva che suo padre aveva avuto un segreto per tantissimi anni, ma che non era importante per lei perché lo amava. “Amore”, pensò Elena. “Non esiste. L’amore è un'invenzione, lo fanno solo per infastidirmi, non voglio sentire altro. Finito”. Come poteva una donna amare un uomo omosessuale? Come potevano pensare di abitare insieme? “Ti porteremmo dallo psicologo, Elena. Tu sapevi tutto e ne hai approfittato. Ti vogliamo bene, cara, che non possiamo continuare così. Devi capire che non puoi fare sempre quello che vuoi. Ormai non ci puoi più ricattare”.
Elena ricordò all’improvviso un momento di quando era piccola. Aveva sette anni e un gattino chiamato Luigi. La mamma l’aveva portato una mattina dopo averlo trovato in strada, miagolando. Il gatto era carino, ma non amava Elena. Fin dall'inizio voleva stare con Chiara, fuggiva da Elena quando lei voleva prenderlo. “Devi coccolarlo quando lui ne ha voglia, Elena. Non farà sempre quello che vuoi tu!”, le diceva la mamma. Solo una volta il gatto aveva fatto quello che doveva: non scappare quando lei l’aveva messo in una scatola e lasciato un’altra volta nella strada, lontano da casa. Ancora lo ricordava miagolando. “Adesso sì vuoi che ti prenda, stupido gatto?”.
Mentre chiudeva silenziosamente la camera dei suoi genitori, che dormivano profondamente, le tornò in mente il momento in cui aveva chiuso la scatola del gatto. “Non chiudono mai a chiave, ma oggi sì. Oggi la loro porta sarà chiusa a chiave. Mi piacerebbe conservarla, sarebbe un bel ricordo”, pensò, mentre entrava nello studio di suo padre. C’erano ancora gli incartamenti del suo ultimo progetto sul tavolo, vicino al posacenere. Sua madre gli diceva sempre che doveva smettere di fumare, ma lui aveva sempre la stessa risposta: “Ma cara, mi piace tantissimo fumare dopo aver finito il lavoro! Mi piace il fumo, vedere come fa delle forme capricciose e non pensare a nient'altro”. Elena sorrideva, mentre accendeva una sigaretta e la lasciava cadere sul tavolo, sul progetto. “Il fumo sarà il tuo sudario”.
Due donne chiacchieravano nell’ospedale. Non potevano credere a quella tragedia. Solo il giorno prima avevano parlato con un uomo simpatico e gentile in quello stesso posto e adesso lo rivedevano sul giornale, in una fotografia con una bella donna dagli occhi azzurri.
“Incendio in un appartamento, muore una coppia e lascia orfana una quindicenne”.
- Poverina – commentò una delle due - qui dice che lei era in cucina e stava bevendo un bicchiere d’acqua quando si è accorta che al secondo piano c’era fuoco. Una sigaretta non spenta, dicono. Malgrado lei abbia cercato di aprire la porta, era chiusa a chiave con i genitori dentro. Era dovuta correre fuori per salvarsi almeno lei. Tutta la casa in cenere. Cosa farà adesso?”.
L’altra donna annuì:
- Veramente una tragedia. Cosa può fare una quindicenne da sola?
Testo: Amata Brancaleone (Carmen Rosúa, Esther Artero, Irene Acedo, Viviana Baró)
Foto: Profilo a Rotterdam.
A cura di: Paolo Gravela
CapGazette 2015

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